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Expat in Regno Unito: la mia esperienza

Expat in Regno Unito: la mia esperienza

Con questo articolo provo a raccontarvi come è stata la mia esperienza da Expat in Regno Unito, tra inclusione, integrazione e differenze sociali

La partenza – 01 Giugno 2017

Sono le quattro del mattino mentre mi sto dirigendo da Arese all’aeroporto di Milano Malpensa. In mano la carta d’imbarco per volo Ryanair che mi porterà a Stansted in meno di due ore. Meno di dure ore. Un tempo così breve segna un cambiamento così drastico. Poche ore dopo, scendo dal van, accompagnato da un gruppetto di dodici persone tra cui italiani, portoghesi e spagnoli, e guardo l’insegna di fronte a me: Welcome to Addenbrooke’s Hospital. Un paio di righe più in basso: This is a no-smoking site. Fumatore accanito, mi ritrovo in un Paese in cui le regole sul consumo delle sigarette nei luoghi pubblici sono molto più rigide. Nonché i costi dei prodotti di tabacco molto più elevati.

Expat in Regno Unito: la mia esperienza
Ingresso dell’Addenbrooke’s Hospital, l’ospedale universitario di Cambridge, credits Luca Bellomo

Si cominciano a notare così le differenze rispetto il mio Paese natio. La più eclatante, è che tutti sorridono: dal personale di ufficio agli uscieri. Avete mai visto un impiegato alle poste sorridervi quando lasciate un pacchetto? Ebbene, qui sorridono anche loro. E sorridono anche in banca durante un deposito, i poliziotti quando si chiedono indicazioni e, categoria che mi riguarda personalmente, gli infermieri nei reparti ospedalieri. Nonostante la stanchezza che accompagna i volti vissuti dalle dodici ore di turno contro le otto in Italia, nessuno manca di gentilezza. Né con i pazienti, anche quelli più aggressivi, né con gli altri colleghi.

Expat in Regno Unito: una grande responsabilità

Le prime settimane sono principalmente di orientamento: durante il giorno assistiamo ai corsi di formazione per i neo-assunti in ospedale, durante i giorni liberi si cominciano a sistemare i primi documenti – numero di previdenza sociale, conto in banca, contratti di affitto. E la sera, non ancora succubi della turnistica sfiancante, ne approfittiamo alzare un po’ il gomito e abbassare il dolore per la lontananza da casa. Tutto viene accompagnato da qualcosa di surreale, una sorta di senso di disorientamento che si potrebbe tradurre nella mancanza di piena realizzazione del ritrovarsi in Regno Unito “a tempo indeterminato”. E questo viene dimostrato a sua volta dal continuo scattare foto di gruppo, a paesaggi, vie ed edifici storici, come farebbero i turisti.

Una foto del riverside, credits Luca Bellomo

Ma piano piano, ci rendiamo conto che c’è un altro peso silente a gravare sulle nostre spalle. Dal giorno zero non ne abbiamo parlato, come una sorta di tacito accordo, visto l’argomento scottante, ma siamo perfettamente consapevoli di aver scelto un periodo storico molto importante in cui trasferirci. Da pochi mesi è stato votato il Referendum sulla Brexit che ha diviso il Regno Unito a metà: il leave ha vinto con poco più del 50%, contro il remain, votato in massa nelle città metropolitane e universitarie. Questo non fa diventare difficile essere italiano all’estero, bensì essere europeo. Attorno a noi, infatti, aleggia una sorta di paura di non essere i benvenuti. Di non essere accettati come stranieri, immigrati e che ora più che mai la diversità di essere straniero possa pesare su quello che è il nostro futuro professionale e il nostro tentativo di integrazione. Ovunque andiamo, cerchiamo di non fare troppo rumore, di tenere il tono della voce basso e di rispettare ogni singola regola su cui veniamo istruiti. Sentiamo gravare sulle spalle il peso dello stereotipo mediterraneo da abbattere: casinisti, pigri e furbi. Oltre a questo, per me si pone un’altra questione.

Regno Unito: diritti per tutti

Il periodo in cui mi sono trasferito è proprio quello del Pride History Month: mese di celebrazione dei diritti LGBTQI+. E qui subito non faccio a meno di notare che su ogni edificio, dal più moderno a quello più antico, sventola la bandiera arcobaleno. Il Regno Unito è noto per essere un Paese che difende i diritti di tutti, in cui la libertà di culto e di espressione non incontrano ostacoli o censure, benché sia stato proprio il Paese da cui l’omofobia, in Europa, ebbe origine in un certo qual modo (fu sotto il regime di Enrico VIII e la nascita della Chiesa Anglicana che cominciò la persecuzione degli omosessuali). Tutto questo regala un po’ di sollievo: per la prima volta, sono meno spaventato a condividere con gli altri il mio orientamento sessuale, piuttosto che le mie origini.

Fiori arcobaleno venduti da Homebase durante l’Hisory Month, credits Luca Bellomo

Quattro anni dopo – 10 Maggio 2021

Sono passati quasi quattro anni. Durante questo periodo ho avuto modo di esplorare tutta la città di Cambridge, trovando casa sia nei quartieri con un ranking migliore sui siti delle compagnie di affitto, sia in quelli meno consigliati. Ho provato a fare canottaggio, accompagnato da un lato dai turisti curiosi di osservare la prospettiva dei college dal fiume, dall’altro dai canoisti che si preparano alla celeberrima regata contro Oxford. Poi ho mangiato un cinnamon roll del Fitzbillies, quello che tutti dicono non puoi essere di Cambridge finché non l’hai ordinato almeno una volta.

Ho anche visitato ogni singola Università e approfittato dei tour offerti dai volontari per poter replicare tutta la storia ai miei genitori e amici in visita. Ho potuto viaggiare nelle città limitrofe, ho imparato a non perdere l’orientamento sulla London Underground e ho finalmete la possibilità di rispondere “” ogni qualvolta qualcuno mi chiede se “Hai visitato questo posto?” oppure “Hai fatto questa determinata attività?”. Infine, e non meno importante, sono cresciuto professionalmente: ho avuto ruoli di vice-coordinatore infermieristico così come da infermiere specialista.

Tuttavia, proprio questo sviluppo di carriera rende il gioco ancora più difficile. Ad accompagnare le mie giornate di lavoro ci sono state non solo le responsabilità definite dal mio ruolo, ma anche quella di dover sempre dimostrare di essere all’altezza. Essere straniero ha significato, per me, vivere nella paura che le mie competenze vengano messe in discussione perché non abituato al sistema, in quanto non autoctono. Io, però, vivo a Cambridge: città da numerosi anni in mano a Sindaci labouristi e da cui proviene la quasi totalità della percentuale dei voti ai Liberal Democrats durante le elezioni amministrative – partito fortemente anti-Brexit e promotore della multiculturalità.

Expat in Regno Unito vs Il Bel Paese

In questi quattro anni, molteplici volte la domanda “Di dove sei?” ha preceduto quesiti di mero interesse lavorativo. Molteplici volte mi sono sentito dire “Adoro il cibo italiano” o “Ah Italia, il Bel Paese”. Poche volte mi sono sentito dire “Conosco l’Italia da Nord a Sud, perché ho girato ogni Regione, incluso il Molise!”. Una volta, addirittura, un paziente britannico mi ha detto: “Il Molise esiste, io lo so perché ci sono stato!” – era un simpatico uomo di mezza età che ha passato una decina d’anni a insegnare inglese alle Forze dell’Ordine in Italia. Sono proprio questi i momenti che ho amato e apprezzato di più: quelli in cui “conoscere l’Italia” non significa solo avere la passione per il cibo, ma dimostrare interesse per la cultura che vi proviene.

Dimostrare di conoscere i modi di dire, i segreti delle piccole e delle grandi città. Riconoscere in che cosa batte il proprio Paese e in che cosa invece è più debole. Ho speso ore, recentemente, a parlare con un mio collega del sistema universitario italiano. Le sue parole conclusive – dopo avermi stupito, sapendo che Bologna è stata la prima Università al mondo – sono state: “Avrei tanto voluto studiare in Italia, saprei almeno tre volte le cose che so oggi”. Peccato che il corso universitario come paramedico non esiste, in Italia – ho pensato tra me e me.

Expat in Regno Unito: controversie

In questi quattro anni ho imparato che l’Inghilterra è uno Stato un po’ controverso. Ci sono e ci saranno sempre persone che dallo sguardo ti faranno capire che non sei il benvenuto. Che camminare mano nella mano con una persona dello stesso sesso dà noia. E che avere la tua voce parlante un altro idioma come sottofondo durante l’ora del té non è gradito. La differenza sta nel fatto che quasi nessuno te lo dirà mai espressamente. Sono troppe le tutele a difesa della disuguaglianza, per potergli permettere di esternare un qualunque pensiero di natura omofoba, razzista o discriminatoria. Il contro di questo, è che in quelle situazioni in cui lo sguardo e gli atteggiamenti non mentono, non lo si può dimostrare. E a volte, purtroppo, il silenzio fa più male di mille parole.

Expat in Regno Unito: il taglio della Brexit

In un’intervista del Serendipity Periodical ad Anthony Catwright del 15 Aprile 2019 (qui trovate l’articolo completo), l’autore aveva detto:

"Coloro che hanno votato leave sono stati bollati come razzisti, ignoranti. Per quanto in alcuni casi possa essere vero, non è possibile che 17 milioni e mezzo di persone siano tutte stupide."

Nella stessa intervista aveva anche evidenziato come il suo libro Il Taglio serva per mettere in luce come la scelta politica difficilmente possa dissociarsi dalla relazione inter-personale. Io stesso ne ho avuto esperienza durante diversi momenti di confronto con alcuni dei leavers. Si è rivelato difficile non incorrere in discussioni per la differenza di opinioni, così come creare dei rapporti di amicizia con chi ne ha di diametralmente opposte. Nonostante tutto, la conclusione è stata una: il problema non ero io, non eravamo noi in quanto europei, men che meno le nostre origini. Non è mai stato un problema personale o di etnia, ma di organizzazioni governative.

Regno Unito ed Europa, credits www.theserendipityperiodical.it

Expat in Regno Unito: conclusione

Rispetto a quando sono arrivato qui, mi sono reso conto che è veramente difficile venire assorbiti completamente da una cultura che non è la propria. L’integrazione non viene negata a nessuno, forse siamo noi che a volte ce la neghiamo: tutte quelle volte che ci ritroviamo al bar italiano in centro, che organizziamo le grigliate per Ferragosto o che decidiamo di passare il Natale tra italiani. Effettivamente, però, noi non siamo gli unici. Basti pensare alla comunità indiana in UK. Molto più numerosi di noi, hanno avuto modo di ricevere dei finanziamenti statali per potersi aiutare a vicenda lontano da casa. Una distanza, tra l’altro, molto più significativa rispetto a quella dall’Italia.

Spesso sono tutti insieme, si riuniscono la domenica nei Gurdwara – centri di culto – e non perdono l’occasione per rimanere con gli amici della stessa etnia. Tutto questo mi ha permesso di realizzare che, per quanto uno possa provare a costruirsi una nuova dimensione, ci sarà sempre una lacerazione del cuore che solo chi ha vissuto un’esperienza simile può risanare. Che solo chi ha un passato simile e viene da un ambiente simile può aiutare. E non pensare così alla fatidica domanda che da tanti anni i nostri genitori e amici ancora ci fanno.

“Ma quindi non torni più in Italia?”.

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