Privacy Policy Un pò di letteratura inglese: tra picaresca, fiaba e romanzo di formazione - The Serendipity Periodical

Un pò di letteratura inglese: tra picaresca, fiaba e romanzo di formazione

Due domande fondamentali, per due romanzi monumentali: “Se e in che misura Jane Eyre può essere considerato un romanzo di formazione?” e “Qual è la trama principale di Howards End?”

Nello studio tratterò i due quesiti già citati, approfondendo le lezioni attraverso i saggi critici di Franco Moretti sul romanzo di formazione inglese, e di Virginia Woolf sui romanzi di E. M. Forster. Inserirò un confronto per quel che riguarda le differenze tra i due romanzi e darò la mia risposta, o opinione personale a questi due quesiti.

Jane Eyre, tra picaresca e romanzo di formazione

Spesso la critica sostiene che “Jane Eyre” si richiami al romanzo religioso “The Pilgrim’s Progress” di John Bunyan del 1675, ma anche al romanzo di formazione dell’Ottocento. “The Pilgrim’s Progress” è uno dei primi romanzi picareschi in Inghilterra, un percorso che Cristiano (nome allegorico) il protagonista compie: un viaggio dalla City of Destruction, ovvero il mondo terreno, alla Celestial City, ovvero il mondo celeste attraverso una serie di prove e peripezie.

Questo romanzo, inoltre, nel suo più originario contenuto, rinvia ai cosiddetti Morality Plays del Medioevo e infatti, oltre a Cristiano vi ritroviamo altri nomi allegorici che compaiono di volta in volta nelle vicende.

Ricordiamo che agli inizi del romanzo inglese abbiamo, per così dire, due componenti principali: una prima componente religiosa, che rinvia alla ricerca del Sacro Graal, e una seconda componente picaresca che nasce in Spagna, e viene importata in Inghilterra alla metà del Cinquecento.

Il romanzo picaresco è di solito concepito con una componente autobiografica

Il succo della storia solitamente è il seguente: un protagonista di umili origini, spesso orfano, è condannato a vivere e a farsi strada in un mondo ostile.

Tutti elementi che, a partire da quello autobiografico, troviamo proprio in “Jane Eyre”; bisogna farsi strada in un mondo ostile, perché una componente importante del romanzo picaresco è anche la contestazione della rigida società medioevale così come, allo stesso tempo, l’esaltazione della nascente borghesia.

Un elemento particolarmente interessante del romanzo picaresco è la sua struttura, a schiglianata, ovvero una serie di episodi legati l’uno all’altro, oppure una struttura ad anelli caratterizzata dal fatto che all’inizio di un episodio ci si ritrova nella stessa situazione di inizio dell’episodio principale, e questa è ancora un’altra caratteristica che ritroviamo in “Jane Eyre”.

I personaggi che popolano questi romanzi non sono personaggi a tutto tondo, manca completamente la caratterizzazione psicologica, la drammatizzazione del personaggio che invece è preponderante in “Jane Eyre”.

Narrazione incentrata sul personaggio e stabilità dei valori

Il romanzo picaresco a sua volta ha due aspetti che ci interessano in particolare: 1. l’avventura, che si declina nella battaglia di uno contro tutti, e 2. la componente religiosa; per contro, nel romanzo di formazione l’enfasi è posta su di una trasformazione del personaggio, sul passaggio dalla gioventù all’età adulta.

Anche in Jane Eyre vi ritroviamo la suddivisione in episodi e la battaglia contro la restante parte di società, ma a differenza del romanzo picaresco inteso in senso stretto, la narrazione è focalizzata sul personaggio; notiamo quindi uno spostamento dell’enfasi dall’episodio al protagonista. In “Jane Eyre” c’è una continua analisi dei sentimenti e delle motivazioni della protagonista, potremmo in questo senso accostarla al romanzo di formazione.

Non dobbiamo però dimenticare che “Jane Eyre” è un romanzo scritto in forma autobiografica, e l’autobiografia contempla la visione di due volti della stessa persona: il protagonista e il narratore. A volte la voce del narratore è ben distinta da quella della protagonista, ne deduciamo che prende le distanze da lei e presenta la situazione con un’obbiettività che è possibile solo quando esiste una distanza temporale tra le due voci.

Il lettore privilegiato

A causa di questa distanza temporale il lettore ha un ruolo privilegiato nella comprensione e nell’attendibilità dei fatti narrati. Un’altra differenziazione che possiamo fare tra “Jane Eyre” e il romanzo di formazione, è che la nostra protagonista è un personaggio statico che ha chiari i suoi valori dall’inizio alla fine, a differenza ad esempio di Elizabeth in “Pride and Prejudice”, che compie un percorso di crescita maggiore.

Jane è sempre fedele ai suoi valori religiosi ma questo non le impedisce di portare avanti istanze laiche che mal si conciliano con questi valori, tanto che potremmo dire che ad un certo punto protestantesimo ed individualismo si separano. Prima di passare al nostro saggio critico è bene fare un’ultima considerazione; abbiamo visto come “Jane Eyre” possa essere accostata alla fiaba di Cenerentola, ma nel romanzo la realtà economica e sociale si manifesta in tutta la sua durezza, è infatti presente una componente fortemente realistica.

Il contributo di Moretti

Moretti nel suo saggio intitolato “La congiura degli innocenti” ci parla di come il romanzo di formazione sia una forma narrativa particolarmente sensibile ai grandi mutamenti storici; questi fenomeni ne hanno cambiato la sua struttura e obbligato tre generazioni di romanzieri a crearne un’altra.

L’autore sottolinea però che questo non è ciò che è accaduto al romanzo di formazione inglese analizzando un ventaglio storicamente assai esteso di romanzi esemplari, convenzioni narrative e assunti culturali di base che colpiscono per la loro stabilità.

L’anno zero della modernità letteraria

Per Moretti le ragioni di questo conformismo e di questa stabilità stanno nel fatto che in Inghilterra la rivoluzione borghese si compì tra il 1640 e il 1688, fu uno dei pochissimi stati in cui il 1789 non apparì come l’anno zero della modernità, inoltre la rivoluzione industriale non poteva avere conseguenze di rilievo sulla struttura di questo genere letterario. “I am born”, così si intitola “Jane Eyre” e altri romanzi, attribuendo così un valore emblematico e duraturo alla nascita o quanto meno all’infanzia dei protagonisti.

Questa è una prima differenza tra il romanzo di formazione inglese e quello continentale, ad eccezione del Meister che dava vita ad un incipit analogo e di pari estensione.

Nel romanzo inglese le scelte più significative sono quelle che confermano le scelte compiute dall’innocenza infantile, e Moretti crede che più che romanzo di formazione lo si potrebbe chiamare romanzo di conservazione.

A questo genere preme soprattutto salvare la verità della visione infantile che agisce da fondamento di tutto il romanzo. Mrs. Reed, sul letto di morte potrebbe dimenticare per qualche istante il suo delirante sadismo, ma se così fosse i giudizi emessi nell’infanzia verrebbero meno e con loro anche tutto il sistema di certezze morali ed intellettuali del romanzo di formazione inglese. Dietro all’idealizzazione del giudizio infantile e alla convergenza su di esso di quello adulto, c’è una drastica svalutazione della gioventù.

La possibilità romantico-romanzesca che alimenta la gioventù europea avvizzisce le possibilità di sbagliare.

Quanto maggiori saranno le grandi attese che fanno della gioventù un’epoca a sé, tanto minore sarà la felicità e l’autorealizzazione che il protagonista potrà conseguire da adulto. Possiamo vedere questi protagonisti come dei bambini mascherati da adulti, un’immagine di una gioventù esautorata perché resa precocemente istituzionale: incanalata in luoghi e in attività esclusi dal resto del mondo, questa gioventù non poteva riconoscersi nei valori simbolici che nel continente ne avevano incarnato l’essenza.

Moretti trova una seconda ragione dietro a questo vuoto simbolico

Difatti, più una società è o si percepisce come un sistema ancora non ben assestato, o dalla legittimazione ancora precaria, tanto più piena e forte diviene l’immagine della gioventù. Questa emerge come un concentrato simbolico delle incertezze e delle tensioni di un intero sistema culturale; la gioventù dell’eroe diviene la convenzione narrativa che permette di esplorare i valori in conflitto, esaminarli e sceglierli.

Ma la società inglese sette-ottocentesca è di gran lunga la più assestata d’Europa; e fiera di esserlo. La sua gerarchia di valori è decisamente stabile. È un mondo compatto, sicuro di sé, che salda insieme tradizione e progresso, un mondo che non può e non vuole specchiarsi nell’avventurosità sperimentale e veemente della gioventù moderna.

Sarebbe difficile, quasi impossibile immaginare un bambino che legge romanzi come “Wilhelm Meister” o “Il Rosso e il Nero”, ma sarebbe facile immaginarlo con “Jane Eyre”, “David Copperfield” e “Grandi speranze”.

Fiaba o romanzo di conservazione

Moretti si chiede come sia potuto accadere questo spostamento dell’età della lettura, e pone il dubbio che questi romanzi possano alla fin fine configurarsi come fiabe. La fiaba comincia con l’eroe alla mercé di coloro che disprezzano lui e le sue capacità, che lo maltrattano e arrivano addirittura a minacciare la sua vita.

Questa è proprio la situazione di base in cui si trovano tutti i protagonisti del romanzo di formazione inglese; prendendo “Jane Eyre” come esempio vediamo che l’incipit è addirittura duplicato quando Jane, ormai adulta, fugge da Thornfield e si trova ammalata e sconosciuta a mendicare sotto un diluvio.

Soffermandoci un attimo, possiamo ricordare che i personaggi delle fiabe non sono ambivalenti come siamo tutti noi nella realtà, e dato che la polarizzazione domina la mente del bambino, domina anche le fiabe.

Puntando i riflettori sui fratelli, notiamo la frequenza con cui essi attraggono magneticamente su sé stessi i disvalori dell’universo narrativo, e rendono inevitabile una drastica polarizzazione emotiva; prendiamo come esempio i tre Reed. Questo succede anche per quel che riguarda uno dei due genitori, il bambino esteriorizza e proietta su qualcuno tutte le cose cattive che sono troppo allarmanti per essere riconosciute come parte di sé. L’happy ending non è tutto qui, ma l’incolmabile separazione di bene e male ne è sicuramente una premessa essenziale.

Moretti non vuole dire che stabilire chi è dalla parte del torto e chi dalla parte del giusto sia infantile e fiabesco, ma lo è credere che un giudizio del genere possa essere dato sempre e ovunque, che sia l’unica forma rilevante di giudizio. In questi casi infatti le norme della morale invadono tutto il mondo del romanzo, che acquista senso solo nella divisione tra bene e male.

Se per un caso qualunque si viene a perdere il paradigma oppositivo, ne discende una paralisi del giudizio in cui il protagonista diviene incapace di far fronte a queste situazioni ambigue che nella vita adulta sono di gran lunga più diffuse.

In “Jane Eyre” pertanto domina il massimo della severità, e l’autocompiacimento morale convive con il massimo dell’evasione irrazionale. Il romanzo di Charlotte Brontë è tutto infarcito di elementi fiabeschi, con una logica del tutto o niente, senza gradazioni che è tipica della fiaba.

Il messaggio è chiaro e reciproco

se mettiamo a confronto due situazioni identiche: Rochster che tortura Jane elencando le qualità di Blanche Ingram che a giudizio di tutti è pronto a sposare, Blanche è l’opposto di Jane ma è anche la copia esatta di Georgiana Reed, una delle nemiche d’infanzia di Jane; è tutta una costruzione o per meglio dire un’alternativa secca.

Allo stesso modo Jane al ritorno da Rochster gli instilla il dubbio che stia per sposare St. Jhon Rivers, che è tutto quello che Rochster non è più. Ovviamente Jane fugge perché rimanere significherebbe divenire un’adultera, mettersi in una situazione ambigua sospesa tra due codici di valore.

Moretti ci fa inoltre notare come tutte le grandi tradizioni narrative abbiano affrontato il tema dell’adulterio tranne che quella inglese, una scelta più adatta al romanzo di formazione sarebbe proprio quella di far rimanere Jane a Thornfield.

Invece è meglio ricominciare da capo

Visto che la prima fiaba è riuscita male, scriviamone subito un’altra. Conclude l’autore col dirci che siccome la vocazione normativa del romanzo-fiaba è già tutta depositata nella sua struttura, al protagonista del romanzo di formazione non resta un gran che da fare.

Bettelheim ci fa notare come i miti e le fiabe hanno molto in comune, ma mentre nei miti l’eroe diventa un esempio da emulare per l’ascoltatore che, essendo un comune mortale, potrà provarci ma non riuscirà mai ad eguagliarlo, nelle fiabe, invece, non viene posta alcuna richiesta all’ascoltatore; ciò fa si che il bambino non si senta costretto a particolari comportamenti ma soprattutto non si senta inferiore.

L’eroe del mito è un modello, una figura normativa mentre quello della fiaba è una figura normale. Ho letto due volte “Jane Eyre”: quando frequentavo il secondo superiore, e ora, a distanza di quasi dieci anni. Dieci anni fa avrei difeso con le unghie e con i denti la mia eroina dalle critiche che le vengono mosse e dal dubbio che si possa o meno considerare un romanzo di formazione, perché per me quando avevo 15 anni lo è sicuramente stato.

Crescendo però, si fanno i conti con la realtà,

e ad una più attenta analisi mi rendo conto di come “Jane Eyre” non si possa, almeno a mio parere, considerare un romanzo di formazione. Rileggendolo, l’ho apprezzato molto meno rispetto alla prima volta, forse proprio perché somigliante ad una fiaba e non ad un romanzo di formazione.

Credo che Charlotte Brontë con questo romanzo volesse allegoricamente porre una critica alla società e al costume corrente, e ipotizzare il seguito della sua vita se anche lei avesse ricevuto un’eredità inaspettata quando ne aveva più bisogno.

Il caso E.M. Forster

“Howards End” è un romanzo scritto nel 1910 da E. M. Forster, la trama intreccia le vite della famiglia Schlegel e della famiglia Wilcox, ma anche di Leonard Bast. Forster è un grande inventore di trame che nei suoi romanzi sono ricche e piene di particolari e di incidenti, in linea quindi con la tradizione inglese che ci riporta a pensare al romanzo picaresco.

Come suddetto nel romanzo si intrecciano le vite e le storie di vari personaggi, ma il quesito che oggi vorremmo porci è: “Qual è la trama principale di Howards End?”.

La risposta più scontata sarebbe che la trama principale è incentrata sulla sorte della casa o per meglio dire sulla casa stessa, difatti il titolo del romanzo porta a questa conclusione, la storia inizia e finisce proprio nella casa di Howards End che possiamo vedere come simbolo di valori positivi.

Dobbiamo però renderci conto che basare la trama di un romanzo su una casa sarebbe alquanto strano, poiché non si tratta di un personaggio ma di un luogo. Inoltre, nonostante il titolo, gran parte del romanzo non ha luogo ad Howards End ma a Londra o in altri luoghi; a pensarci bene addirittura i Wilcox, dopo la morte di Ruth, affittano la casa perché scomoda. In seguito, vi trasferiscono i mobili di casa Schlegel e il Signor Wilcox torna a viverci solo a fine romanzo assieme a Margaret, Helen e il figlio concepito con Leonard Bast.

La trama principale non può quindi essere la sorte della casa

Ma non può neanche essere la storia d’amore tra Margaret e Mr. Wilcox, questo perché occupa poco spazio nel romanzo, tre capitoli che portano alla proposta di matrimonio.

Introduciamo, a questo punto, anche un elemento di fondamentale differenziazione tra Jane e Margaret e conseguentemente tra i due romanzi: normalmente l’eroina prima di sposarsi deve formarsi, deve fare i conti con la realtà. Questo è quello che accade a Jane e a Elizabeth in “Pride and Prejudice” ma non è quello che accade a Margaret in “Howards End”; nel suo caso i momenti sono invertiti, prima sposa Henry e poi inizia un lungo e faticoso processo di riconsiderazione dei propri valori e dei propri amici.

Azione prima di tutto

Leggendo con attenzione “Howards End” ci rendiamo conto di come nella prima e nell’ultima parte del romanzo accadano molte cose e prevalga quindi l’azione, ma c’è un’intera parte intermedia in cui non succede molto, più o meno 20 capitoli in cui i commenti del narratore sono molto lunghi e presenti, quindi una parte più riflessiva. Spesso Forster alterna due figure che rappresentano sé stesso: il narratore e il saggista, creando la suddetta situazione.

Si potrebbe considerare come trama principale la storia tra Helen e Leonard, ma anche qui abbiamo varie perplessità. Infatti a seguito del primo incontro in cui i due si conoscono, gli altri incontri avvengono sempre in presenza di altre persone, a differenza dell’incontro finale tutti gli altri incontri possono essere considerati “momenti” dei capitoli e non il tema di ogni capitolo. Se esaminiamo la figura di Leonard Bast, come personaggio, egli entra ed esce dal romanzo quattro o cinque volte, fino a quando gli sopravviene la morte.

Stravolgimento di gerarchie (e valori)

La principale difficoltà del romanzo sembra essere quindi quella di non riuscire a stabilire una gerarchia tra le varie trame ma anche tra i vari personaggi. Data l’instabilità della connessione abbiamo una sorta di stravolgimento di gerarchie e di valori. Un altro elemento a sfavore della risoluzione del nostro quesito è il fatto che è difficile parlare di una comunità in questo romanzo, a partire dal fatto che i protagonisti sono dislocati e non si trovano mai nello stesso luogo.

Inoltre, tra i personaggi ci sono spesso varie incomprensioni e questo è dato dal fatto che viene a mancare il personaggio centrale, trade union, l’elemento unificatore che era Mrs. Wilcox; anche se la sua morte e la conseguente eredità lasciata a Margaret è l’elemento che permette alla trama di entrare nel vivo perché è una cosa inusuale e fuori dalla norma che ha bisogno di essere rettificata. L’incertezza che riguarda la trama principale e il personaggio principale va di pari passo col fatto che non sappiamo quale sia la verità, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.

Anche su questo punto la differenza con “Jane Eyre”, in cui non ci sono mai dubbi su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.

La fine del romanzo non ci aiuta a chiarire le nostre idee

La morte di Leonard è legata al fatto che lui appartiene ad una classe sociale non agiata, è povero; in quel mondo e nel compromesso finale del romanzo per lui non c’è posto. Forster appartiene ad una classe sociale agiata, informazione che emerge da questa fine, Leonard è un estraneo e non appartiene al mondo degli Schlegel e dei Wilcox. Infatti, di chi non si parla alla fine del romanzo? Di Jacky.

C’è un’evidente difficoltà, quasi un disprezzo nei confronti di queste persone. Però, se ci pensiamo bene, alla fine chi erediterà tutto? Proprio il figlio di Leonard Bast e Helen Schlegel; forse questa può essere definita una sorta di vittoria anche dopo la sua morte.

Non c’è un vero è proprio lieto fine: Ruth e Leonard muoiono, Charles va in galera, qualcuno rimane ma non si può dire con certezza che sia felice. Tra gli Schlegel e i Wilcox, e più in particolare tra Henry e Margaret, non vi è una vera e propria sintesi perché alla fine chi detta le regole è proprio Henry. Questo è un altro elemento di differenziazione con “Jane Eyre” in cui Jane e Rochster per quanto diversi, compiono una reale sintesi.

Possibilità di una sintesi

Possiamo tentare, in ultima ipotesi, di avanzare la possibilità che la trama principale di “Howards End” si fondi sugli avvenimenti della vita delle due sorelle Schlegel e che i rapporti con i Wilcox e i Bast siano solo degli esempi per esteriorizzare i due diversi modi di vedere la dottrina liberale. Helen è più idealista, inconcludente, immatura, passionale, e Margaret è razionale, logica, pragmatica, più disposta al compromesso insomma.

A contatto con Henry, Margaret rifiuta l’ipocrisia della sua classe sociale e del suo circolo di amici che criticano Henry Wilcox e le banche ma che in realtà devono a loro i privilegi di una vita agiata.

Seen vs unseen

Margaret si rende conto che la sua differenza tra seen e unseen, tra realtà esteriore da disprezzare e realtà interiore da coltivare, ha qualcosa che non va, perché capisce che c’è una realtà concreta ed affascinante legata ad Henry Wilcox e a tutti i suoi simili. In questo senso il romanzo è una critica progressiva da una visione idealistica. In questo confronto tra le due sorelle Schlegel dobbiamo ricordare che sono per metà di origine inglese e per metà di origine tedesca, nelle loro vite si incontrano due correnti centrali nel panorama di quell’epoca: l’idealismo tedesco e l’empirismo inglese; che corrispondono rispettivamente a Helen e Margaret.

La realtà come particolare

La capacità che ha Forster di vedere la realtà è lo stimolo che lo spinge a cercare e creare un rifugio da quella che lui definisce la futilità della vita. Nella descrizione di questa realtà è un maestro insuperabile, grazie a tutti i particolari finisce per dare al lettore l’impressione di conoscere molto bene la realtà di cui parla.

Possiamo dividere i romanzieri in due gruppi: i predicatori e gli insegnanti, capitanati da Tolstoj e Dickens; e gli artisti puri, capitanati da Jane Austen e Turgenev. Forster ha un forte impulso ad appartenere ad entrambi i gruppi, difatti è un artista ma scrive sempre per lasciare dei messaggi.

Prendiamo come esempio le pagine che riguardano Caroline e Gino in “Where the Angels Fear to Tread”, dietro la scena in realtà si nasconde uno scontro di civiltà. Dietro arguzia e sensibilità c’è una visione del mondo strana, di una natura incerta che lui insiste a farci vedere.

Non gli interessano le istituzioni o le leggi, ma mostrare ciò che succede nella vita privata sin nei minimi particolari. Il problema di Forster è come mettere insieme la cosa concreta, cioè quella che lui racconta, vede e fa vedere; con il significato della cosa stessa. Vuole portare il lettore a vedere il limite che c’è tra la cosa e il suo significato per trovare una sintesi tra le due.

Questa sintesi manca a Forster, o viene raggiunta solo in parte

L’esempio calzante in “Howards End” è Tibby, è un personaggio venuto benissimo all’autore, perché è un personaggio minore e non viene caricato di un significato pesante e particolare, può quindi raggiungere la sintesi. Invece con i personaggi maggiori questa sintesi fatica ad essere attuata. Il personaggio di Margaret ad esempio, viene appesantito da tutta una serie di valori e principi che porta sulle spalle.

La cosa più strana è che Forster la vede in questo modo anche per ciò che riguarda sé stesso. Le componenti principali dei romanzi sono due: il tempo e il valore, che ritroviamo anche nella lingua come combinazione di fatti e valori; “Howards End” è una tensione tra questi due valori, con una trama perfetta e una drammatica riflessione sulla vita. Mrs. Wilcox rappresenta un terzo incomodo che, nonostante la morte, è come se fosse sempre presente, simboleggiando la vita e i valori più importanti e che si pone tra interesse economico, rappresentato da Mr. Wilcox, e cultura rappresentata da Margaret.

Tracciamo un’ultima differenza con “Jane Eyre”

L’elemento unificatore della trama è l’amore tra Jane e Rochster, con un piccolo aiuto, rappresentato dall’eredità. In “Howards End” la proposta di matrimonio di Mr. Wilcox a Margaret è un fulmine a ciel sereno, e poi rimane tutto lì, non succede nient’altro sotto questo punto di vista. Ciò che tiene insieme la trama è il denaro, lo stesso che tiene in vita Howards End e che fa di Helen e Margaret le persone che sono.

 

articolo di

Martina Cifaldi

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