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Intervista a Alessandro Brusa, autore di "L'amore dei Lupi"

Intervista a Alessandro Brusa, autore di “L’amore dei Lupi”

Intervista ad Alessandro Brusa, autore del Canzoniere “L’amore dei Lupi”

“L’amore dei Lupi”, uscito a gennaio all’interno della collana Poiésis per Giulio Perrone Editore, è l’ultima fatica letteraria di Alessandro Brusa. Il Canzoniere è un’opera feroce e tenera allo stesso tempo e affronta, in ambito poetico, nuovi modi di concepire l’amore. L’autore nasce a Imola nel 1972 ma è di fatto bolognese, dato che si trasferisce nel capoluogo emiliano nel 1976. Esordisce con il romanzo “Il cobra e la farfalla” (Pendragon) nel 2004 e nel 2019 pubblica un secondo romanzo “L’essenza stessa”. Per quanto riguarda la poesia invece pubblica nel 2013 “La raccolta del sale”, suo esordio poetico, e “In tagli ripidi (nel corpo che abitiamo in punta)” entrambi presso Giulio Perrone Editore.

Intervista a Alessandro Brusa, autore di "L'amore dei Lupi"
“L’amore dei Lupi” di Alessandro Brusa

Il tuo canzoniere è un’opera molto “carnale” all’interno della quale i cinque sensi giocano un ruolo fondamentale; soprattutto tatto e olfatto. Anche il riferimento ai lupi ne è una prova. Vuoi parlarci di questa scelta?

Da anni la mia scrittura si è orientata verso una conoscenza estetica della realtà e la sua descrizione attraverso i sensi. La nostra presenza nel mondo è mediata in primis dal corpo che abitiamo: vedi il richiamo al sottotitolo della mia seconda raccolta di poesia. Chiaramente il corpo non è il tutto, ma è condizione necessaria per un’esperienza vera. In poesia, come in tante altre forme d’arte a dirla tutta, spesso si parla (e ancora più spesso si straparla) di emozioni dicendo che un testo, una canzone o un dipinto ci devono emozionare: bene, l’emozione non è altro che l’incontro tra un vissuto corporeo ed una ideazione mentale. E se la seconda in un testo poetico è manifesta, la prima resta un obiettivo molto complesso da raggiungere.

Alessandro Brusa
Alessandro Brusa- Credits https://www.alessandrobrusa.it/blog/

La scrittura purtroppo, a differenza di altre forme d’arte, più facilmente rischia di rimanere intellettualizzata, a mio parere anche per la mancanza di una forte e precisa esperienza sensoriale. La musica la senti, un dipinto lo puoi vedere e una scultura la puoi addirittura toccare, nel caso della scrittura questa esperienza è molto più difficile perché spesso (anche se ultimamente sempre meno, dato l’emergere di forme di spoken poetry, ma anche una maggior presenza di situazioni nelle quali è possibile anche solo ascoltare la voce dei poeti) la fruizione dell’opera avviene unicamente tramite la lettura di un testo su una pagina: un po’ lo stesso limite che ha una mappa nei confronti del territorio. Ora, so bene che raccontare sensazioni non è la stessa cosa che provarle, ma nel momento in cui la descrizione viene fatta dando quanto possibile, al corpo, il ruolo di strumento esplorativo, allora l’ideazione mentale portata dal testo può a questa unirsi e creare una esperienza esteticamente quasi completa.

A livello tematico il tuo canzoniere è molto interessante perché tratta l’esperienza erotica nell’accezione più ampia della parola stessa. Perché pensi questa sia un’eccezione e non la regola? 

Perché torniamo all’intellettualizzazione della forma poetica che porta spesso a sublimare l’esperienza fisica e farne cosa “altra”. Per fortuna non è così per tutti, ma il tema erotico è un terreno molto scivoloso e pochi in poesia hanno il coraggio di confrontarcisi e a uscire dalle forme di “amore angelicato” cui siamo oramai abituati: perché la “scrittura d’amore” anche quando non è angelicata è sempre accompagnata da un certo imbarazzo che influenza in primis il lessico, ma anche la sintassi e la forma tutta. In alternativa ci si crogiola nell’espressione più viscerale, quella che guarda al lato “sporco” dell’erotismo, sporco almeno per quella che ancora, purtroppo, è la morale comune. 

Al di là della questione legata alla scrittura, spero sinceramente che il mio libro riesca a parlare davvero a tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale: questo perché, sebbene la narrazione avvenga attraverso esperienze omoerotiche, il tema del libro resta la libertà che ci dobbiamo concedere nell’esperienza erotica tutta, senza alcuna distinzione.

Relativamente alla struttura del mio libro, devo ammettere che inizialmente era nato come una semplice raccolta, una collezione di testi (scritti nell’arco degli ultimi nove anni) legati all’esperienza amorosa. Ma nel momento in cui mi sono trovato a mettere assieme tutto il materiale, mi sono accorto che quei testi avevano in qualche modo esaurito, avevano effettivamente compiuto tutta la mia esperienza in materia: si parla di innamoramento, di disamoramento, di tradimento, di poliamore, si parla anche e soprattutto del sesso nel modo più fisico e carnale possibile. Forse è proprio per questa ampiezza di visione raggiunta che mi sono sentito pronto ora a licenziare questo libro.

I tuoi versi si muovono nella musica ma anche nei silenzi, infatti anche tipograficamente sulla pagina ritroviamo ritroviamo spazi di varia grandezza, puoi parlarci di questa scelta ritmica e tipografica?

Questa scelta è legata al discorso iniziale sull’esperienza estetica. Osservare un testo sulla pagina è già un’esperienza che attiva i sensi, in particolare la vista, alla quale si aggiunge poi l’esperienza della lettura. Questo ovviamente accade a tutti gli autori che decidono di mettere su carta i propri testi, ma per alcuni autori anche di più, perché hanno affidato le loro parole a forme che catturano l’occhio e veicolano informazioni anche per la forma che le caratterizza: penso a Dylan Thomas, penso a E. E. Cummings, penso a Jim Carroll. Faccio poi un passo ancora: la forma, il significante, cambia il significato! sia nel senso dell’oggetto finale prodotto, sia perché cambia il modo ed il senso dell’esperienza creativa dell’autore. Tornando al corpo e ai nostri sensi, in questo tipo di forma vengono coinvolte in maniera molto  potente sia la visione sia il respiro, coinvolgendoci quindi in un modo ben più profondo. Se il lettore ha la forza e la volontà di lasciarsi trasportare in questo “gioco” e magari addirittura il desiderio di leggere il testo ad alta voce, misurando gli spazi sul proprio fiato, credo che in questo modo l’effetto sia ancora più dirompente.

Intervista a Alessandro Brusa L'amore dei lupi giulio perrone editore
Alessandro Brusa a “Bologna in Lettre 2020” Credits http://www.bolognainlettere.it/2020/05/06/bologna-in-lettere-2020-le-nostre-deposizioni-alessandro-brusa/

Ogni sezione della raccolta ha un suo titolo ed un suo esergo nel quali citi poeti o personaggi letterari. Quali sono i tuoi modelli quando scrivi? Chi è il tuo poeta italiano di riferimento?

Allora, partiamo da una mia paura, la paura di essere e di suonare didascalico. Per questo motivo faccio grande fatica a dare titoli ai testi che, infatti, un titolo non l’hanno mai (l’unico testo che lo aveva nella prima stesura, nella versione inclusa in questo libro non lo ha più). E quindi mi affido ad altre voci per dare un indizio, per dare un suggerimento di lettura ad un testo o a una sezione. Relativamente ai miei modelli: faccio molta fatica ad identificarne. Questo non vuole dire che non ne abbia, ma che il loro ruolo non è ancora (e sinceramente spero che non lo sia mai) emerso a livello conscio. Non riesco quindi a farti il nome di un autore italiano di riferimento, diciamo che credo che Calvino per la narrativa e Caproni per la poesia siano due fari, anche se non credo che nella mia scrittura si possa rintracciare l’influenza di nessuno dei due: forse sono solo due “segni” nel cammino.

Sappiamo che hai in cantiere progetti futuri di va di parlarcene?

Diciamo subito che questo libro è uscito al posto di un altro. Ho un libro cui sto lavorando da più di tre anni, per l’esattezza dal 29 settembre del 2017, giorno della morte di mio padre. La mia prima reazione alla notizia è stata di sedermi a terra e di mettermi a scrivere. Nei primi giorni è stato un fiume in piena, ma è andata avanti così per circa un altro anno. Poi la scrittura è cambiata e la sua frequenza si è diradata. L’ultimo testo scritto risale a questo settembre e posso dire di avere forse terminato la stesura dei testi. Ora resta da fare il lavoro successivo, il lavoro del poeta che non è solo labor limae, ma anche e soprattutto quello di ricontattare quel corpo e dargli degna espressione. Poi certo, ho anche un romanzo in mente, ma per quello ho tempi quantomeno geologici.

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