Privacy Policy Paura - repulsione e apprensione per vero o presunto pericolo - The Serendipity Periodical
Paura - repulsione e apprensione per vero o presunto pericolo

Paura – repulsione e apprensione per vero o presunto pericolo

Cos’è la paura?

Su cosa possa essere la paura si hanno molti riferimenti in diversi campi; ci si può fare un’idea a partire dal dizionario, per passare alla lettura di un riferimento enciclopedico, proseguendo nei libri e approdando sui giornali. In tv, in radio, sul web. In musei, al cinema, allo stadio. In molti modi si può rappresentare ed esprimere la paura ma pensarci in modo “attivo”, in un momento prolungato, che significato le fa assumere? Quanti modi di provare paura esistono; cosa si prova, come la si affronta, cosa significa; cos’è?

Paura - repulsione e apprensione per vero o presunto pericolo
Kim Phuc, 9 anni Vietnam, 1972. Foto di Nik Ut

Ansia, terrore, sgomento. La guerra e quindi la storia insegnano il significato più ferino della paura. In un momento storico in cui la paura della guerra sembra lontana forse si è più portati a dimenticare l’orrore. Kim Phuc la bambina raffigurata nella foto è disperata; c’è spazio per la paura nella disperazione? Che tipo di paura è quella che lei e gli altri nella foto stanno provando? Cosa si prova quando le ustioni riportate per un bombardamento costringono un individuo a passare 14 mesi in ospedale subendo 17 interventi.

Paura - repulsione e apprensione per vero o presunto pericolo
James Natchwey, Rwanda, 1994 (canon.it)

Spavento, rassegnazione, turbamento. Il conflitto intestino del Rwanda non risale a molto tempo fa; si parla del 1994. Un anno che in molti ricordano; panico, apprensione, timore. Sentirsi impotenti, vedere la morte e riuscire a sopravvivervi. L’autore dello scatto è James Natchwey che ricorda:

Era appena stato liberato da un campo di concentramento Hutu in cui le persone venivano torturate e uccise, e le stavano portando in strutture mediche estremamente rudimentali. Ero lì a fotografare quando arrivò. Non riusciva a parlare e comunque io non capivo la sua lingua, ma lo guardai negli occhi e gli chiesi a gesti se potevo fotografarlo. Acconsentì implicitamente e a un certo punto rivolse anche il viso verso la luce. Fu allora che scattai quest’immagine. Credo che capisse ciò che le sue cicatrici avrebbero detto al resto del mondo. Credo che in quel momento mi stesse incaricando di essere il suo messaggero.

per leggere l’intera intervista cliccare qui.

Paura - repulsione e apprensione per vero o presunto pericolo
1967 Kathrine Switzer

Incredulità. Essere donna e chiedersi “perché”. Non si nasce con la paura di avere una voce che conta meno; non si comprende da subito la paura di camminare di notte sola in una città; non si ha innata la paura di indossare una maglietta e sentirsi osservata come se ci fosse qualcosa di sbagliato; non si sa niente, finché un giorno succede qualcosa. Lei nella foto con il numero 261 è Kathrine Switzer. La foto è stata scattata a Boston durante la maratona del 1967. Sembra scorrere tutto in modo normale quando improvvisamente volano spintoni, strattoni e qualche colpo basso. Kathrine Switzer in 4h e 20min taglia comunque il traguardo.

Paura - repulsione e apprensione per vero o presunto pericolo
colored – white

Colorato e bianco. La paura della differenza ha giocato un ruolo di primo piano in molti secoli della storia occidentale; è oggi qualcosa di veramente superato? Quando in una foto come questa si percepisce che le differenze comportano cambiamenti anche nel modo di progettare gli edifici si torna indietro di un secolo e si giunge nel sud degli Stati Uniti. La “razza” contava ma conta oggi, o no? Le paure percepite che siano reali o presunte mettono l’animo di chi le affronta in condizione di prova. Un esame da dover superare, cercando di non incappare nel tranello. Quando l’uomo ha paura si difende, in qualunque modo possa; uomo/donna, bianchi/neri, cristiani/ebrei, zingari/migranti, gay/omofobi; di quanti stereotipi e parole e definizioni ed etichette necessita una popolazione prima di provare a riflettere sulla propria comune origine.

Editoriale

Valeria Magini

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