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Il tempo e i luoghi della poesia

Traduzione della poesia: perdita e acquisizione

La traduzione è un processo che da una lingua all’altra fa perdere sempre qualcosa della lingua di partenza. Sono stati tanti i punti toccati durante l’incontro di  novembre “Il tempo e i luoghi della poesia – Riflessioni sulla traduzione di testi in lingua inglese”, che prende il titolo dal libro uscito a gennaio scorso con Edizioni dell’Orso, a cura della prof.ssa Paola Baseotto e Omar Khalaf dell’Università degli Studi dell’Insubria. Ad ospitare la conferenza è stata l’Aula 101 dell’Edificio Marco Polo del Dipartimento di “Studi Europei, Americani e Interculturali” della Sapienza – Università di Roma. Oltre ai curatori del libro erano presenti la prof.ssa Iolanda Plescia, il prof. Jacob Blakesley e il regista Alessandro Fabrizi.

Un momento interessante che ha visto al centro la traduzione e le difficoltà che si incontrano muovendosi da una lingua all’altra, da un’epoca storica all’altra, riportando ad esempio un testo in inglese antico nella lingua moderna.

Ai presenti è stato distribuito un handout con brani in originale inglese e la traduzione in italiano a fianco, divisi come nel libro in una prima parte che riporta le “Voci dal passato” e una seconda parte che riporta le “Voci dal mondo”.

Il progetto di questo libro è nato dalla carenza del libro che ci sarebbe piaciuto leggere

Lo ha spiegato la prof.ssa Paola Baseotto: l’idea è quella di continuare a lavorare su questo progetto con un seminario itinerante e una serie di pubblicazioni. “Non volevamo scrivere un altro manuale di teoria della traduzione.” afferma la prof.ssa Baseotto. “Abbiamo voluto accogliere tutti: filologi, studiosi di cultura e intercultura, storici della letteratura e linguisti. Abbiamo chiesto loro di non scrivere nulla di teorico o normativo ma di descrivere i loro viaggi traduttivi”. Ed ecco comparire una serie di diari di bordo sul processo traduttivo.

La prof.ssa Baseotto ha guidato i presenti nella comprensione e nella traduzione di “The Faerie Queene”, “The lucky star of hidden things” di Afric McGlinchery e “Halfe, Bear Bones and Feathers” di Louise Bernice.

A rompere il ghiaccio con l’analisi del primo componimento è stato il prof. Omar Khalaf, analizzando “The Seafarer”; poi guardando da vicino il poema da lui tradotto in prosa “Richard Coeur de Lyon”, che viene così reso fruibile al grande pubblico; e infine “White Egrets” di Derek Walcott.

La lingua nel testo come vero dialogo

La prof.ssa Iolanda Plescia ha parlato del prologo di “Troilus and Cressida” di William Shakespeare: “La lingua parlata deve trapelare, dobbiamo credere che sia davvero un dialogo”. Ha poi sfatato il mito del fatto che si creda che Shakespeare fosse un innovatore della lingua: “Non segue la moda delle parole, non fa nuovi coni, al contrario di quello che si crede. La scelta poetica è sempre quella meno usuale. Shakespeare tende a sfruttare la ricchezza della lingua, non segue il nuovo”.

A leggere le poesie nelle traduzioni italiane che vedono vari contributi nel libro è stata la voce di Alessandro Fabrizi. Nella sua esperienza di traduttore, ha raccontato di aver reso in italiano “The Tempest” di Shakespeare, non traducendo però riga per riga ma “allungando il brodo”, seguendo così le proprie esigenze teatrali.

Le conclusioni sono state affidate al prof. Jacob Blakesley: “Trovo questo libro molto stimolante. Offre approcci diversi fra loro che lo rendono più prezioso. Riflette diverse epoche  della lingua inglese ed è importante anche per gli anglofoni”.

 

articolo di

Elisa Sartarelli

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