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Il sogno nella letteratura tedesca contemporanea

Il sogno nella letteratura tedesca contemporanea

Il caso Handke – nota introduttiva

Il sogno è da sempre oggetto di interesse per l’uomo il quale, fin dalle epoche più remote, brama di conoscere l’origine ed il significato delle immagini del sonno nel tentativo di tradurre il riflesso delle proiezioni notturne con attenta lucidità. Già nell’ambito della poetica romantica tedesca, il sogno si riveste di significati celati, nella poetica di Hölderlin e di Novalis in particolar modo. Nel contesto della letteratura contemporanea in lingua tedesca il sogno, connesso a tematiche quali l’estasi e il canto, tende ad assumere non di rado una forte coloritura politica, come avviene nel caso del teatro austriaco contemporaneo, per mezzo di autori quali Bernhard e Handke.

Peter Handke si siede a una tavola da pranzo dinoccolato e assente. Osserva dal bordo di un paio di lenti le schermaglie di due commensali che cercano di scambiarsi un contegno. Avrebbe voglia di prenderli a palline di pane. I bambini sanno tutto del passato, tutte le lingue. Lo sforzo che li espella dal sacco di placenta serve a far dimenticare. Per nascere bisogna cancellare, l’uscita ha bisogno di azzeramento.
(Erri De Luca, da Peter Handke viandante carinziano in Friuli, Ottobre 2012)

L’intento di questo estratto è dunque quello di analizzare,

seppure a livello sintetico e senza alcuna pretesa di sistematicità, le principali tematiche della produzione narrativa del carinziano Peter Handke (1942), con il sostegno dei cinque Canti che formano uno dei più recenti Theaterstücke dell’autore di Griffen: Immer noch Sturm (Ancora tempesta, 2010) sviluppando, nel percorso, temi indissociabilmente connessi alla produzione del romanziere e drammaturgo austriaco quali, ad esempio, il sogno politico, il mito e il rapporto con la figura materna e le pulsioni interiori. La proposizione principale è quella di evidenziare come la tematica del sogno, non di rado associata, nella produzione handkiana, al contesto della tragedia e agli elementi del mito classico, venga traslata su uno sfondo biografico e in un contesto intriso di riflessione politica.

Il linguaggio, nel teatro handkiano,

viene rappresentato come strumento di mera omologazione e violenza sociale, dove non sembra esimersi da tratti di pungente critica politica. ome unico esempio, basti pensare alla parte finale del quinto ed ultimo Canto dell’opera teatrale appena citata, in cui le voci dei protagonisti si confondono in un crogiolo di suoni confusi e sovrapposti, fino a lasciar spazio ad un indovinello, che si conclude con una efferata provocazione ai danni della caotica frenesia del tempo presente. »-Und nun bin ich dran mit dem Rätsel: Was schreit auf dem Bänken, und faßt mich an gegen meinen Willen, und rumpelt und kracht, und tobt und brüllt, und tost und lärmt daß es schon lang nicht mehr schön ist?« -Ich »?                    « –Gregor: »Die Menschheit.1«

L’infrazione del mito: la figura di Orfeo nella letteratura di Peter Handke

Se oggetti ed elementi presenti nella letteratura classica permangono nel teatro e nella prosa handkiana ripresentati in chiave moderna, il culto per il classico concerne le stesse figure di eroi e protagonisti dei miti greci e latini, presentati ora sotto le spoglie dei vari personaggi che popolano l’opera. Ѐ il caso di Orfeo, inserito in Immer noch Sturm in modo implicito, richiamando sia l’universo delle Baccanti che il tema dello sguardo [2]. Già nel romanzo Die Hornissen [3] compare quello che lo stesso Höller definisce, in relazione allo sguardo e al mito di Orfeo: »die Ordnung der Bewegungen. [4]« Sulla scia di ciò che viene narrato nel mito, verso la seconda metà del romanzo, il protagonista Gregor Benedikt afferma, riguardo a suo fratello: »Als ich ihn anrief, brach er ein [5]«. In questo caso è visibile un’interpretazione di voluta “inversione dei movimenti” rispetto ai canoni presenti nel mito.

A differenza di ciò che accade nella tradizione letteraria classica,

di fatti, a scomparire fisicamente non è Gregor, che segue suo fratello, ma questo stesso nel momento in cui si volta verso Gregor che lo ha appena chiamato. Si noti, in questo frangente, un caso di mera infrazione rispetto al mito stesso, in quanto a scomparire è la persona che ha violato la regola del noli respicere e non il soggetto che, fisicamente, viene “guardato”. Handke può essere definito, infatti, l’autore par excellence dell’infrazione. Non a caso, il complesso edipico di sapore prettamente kafkiano viene rovesciato anche in „Die Wiederholung“ [6], a favore della figura di una madre autoritaria di certo antitetica rispetto alla figura paterna presentata nel Brief an den Vater di F. Kafka (1883-1924)[7].

Un episodio di infrazione rispetto al mito

compare ancora in Immer noch Sturm. In questo caso, la visione tradizionale viene intenzionalmente rovesciata e il protagonista, all’inizio del terzo Canto, pur essendosi voltato vede dietro di sé comparire (e non scomparire) i due fratelli ‒ Valentin e Gregor ‒ sopravvissuti alla guerra, a differenza del fratello minore, il “piccolo” Benjamin. Si propone di seguito il relativo passo:
»Als ich über die Schulter blicke, sehe ich knapp hinter mir die beiden überlebenden Brüder meiner Mutter stehen. Sie sind wohl schon vor einiger Zeit auf den Plan getreten. Aber wieder einmal war ich derart in mich versponnen, daß ich hier Daherkommen nicht bemerkt habe.8«

Il tema dello sguardo e dell’invocazione in Immer noch Sturm

Per concludere, si può notare come nell’opera compaia, inoltre, un esempio non più di ri-evocazione, quanto di invocazione stricto sensu. Ѐ il momento del congedo situato nell’ultima sezione dell’opera, che precede il canto intonato dagli “Antenati”, teso a sancire definitivamente la volontà di rimanere impressi nella memoria collettiva, nel ricordo della storia: è il canto della „Weltverdruß-POLKA“9. Il narratore si esprime per mezzo di frasi che ostentano uno stato di nevrosi, se non di follia, in cui si riflette il sogno di non destinare più alle tenebre dell’oblio la memoria dei suoi avi affermando decisamente che un’altra luce ‒ con ogni probabilità la luce “della memoria” ‒ dovrà brillare sui loro volti dimenticati, e sostiene: »Ein anderes ewiges Licht soll euch leuchten!10« per poi terminare il suo discorso con un’affermazione altrettanto interessante: »So gedenke ich euer, und denke umgekehrt von euch mich gedacht. [11]

Quest’ultima asserzione del protagonista,

che denota uno scambio di pensieri tra se stesso e i suoi antenati, sembrerebbe particolarmente interessante alla luce di un ulteriore confronto con la letteratura classica, al punto che si potrebbe evidenziare una singolare attinenza con due versi della medesima tragedia di Euripide. Una probabile analogia con Le Baccanti potrebbe forse sembrare plausibile nel momento in cui si analizza il passo della tragedia in cui lo scettico Penteo figlio di Agaue, peccando esplicitamente di ὕβϱις (“hybris”, ovvero “tracotanza”, “superbia”), ritiene un impostore l’uomo che ha di fronte, ignorando che si tratti realmente di Dioniso. Prendendosi beffe di questo, lo fa incatenare dando luogo ad un vero e proprio interrogatorio, in cui Penteo domanda a lui, incessantemente, in che modo abbia assistito all’epifania divina durante le cerimonie e sotto quale forma il dio si sia realmente manifestato. Attraverso un mero caso di sdoppiamento letterario, alla domanda rivoltagli da Penteo: «E te, quand’è che ti ha costretto, di notte o in piena vista?», il dio risponde: «Lui vedeva me e io lui: e fu donazione dei rituali [12]».

In questo atto del guardare e dell’essere guardato,

ha luogo infatti quello che P. Fedeli definisce «gioco di specchi» [13] in relazione alla tradizione dei culti orfici, eleusini e misterici della Grecia antica, ovvero il momento nel quale l’iniziato che guardava il dio era al contempo, nell’ingresso verso la dimensione altra, contemplato dal dio stesso in una fusione reciproca dei due punti di percezione visiva, diretta e differita. Per questo le parole che il protagonista Ich [14] pronuncia riguardo al fatto di pensare ai propri antenati e di sentirsi da questi pensato, può dar luogo all’idea di uno scambio di rituali nel contesto dell’invocazione degli avi di cui si è appena accennato. Il protagonista di Immer noch Sturm si lascia andare, in seguito, ad una serie di frasi incalzanti, fino ad esortare gli stessi Vorfahren [15] a risorgere dalle tombe, a tornare, ancora una volta, alla memoria16.

Prima che l’invocazione si trasformi

in un colorito dialogo tra Ich e lo zio Gregor ‒ in cui sono ravvisabili i toni e le coloriture proprie del “Teatro dell’Assurdo” di Beckett o Ionesco ‒ lo stesso zio svela, in una sentenza che ha ancora una volta tutto il sapore del sarcasmo handkiano, l’ingenuità e l’impossibilità di conferire in ultima istanza valore alla memoria e, seppure in un sogno, l’impossibilità di riportare in vita dei defunti:

»Ein Kind der Liebe, das bist du selber, Nachfahr. Nur ein Kind der Liebe malt solche Einfaltspinselbilder. Zimmert aus seinem Daher- und Dahingeträumten Weltenräume. Träumt, und bestimmt, daß wir Toten nicht tot sind. Tot sind wir, Nachfahr, Tot. Nacht um Nacht ohne Jüngsten Tag tot17.« 2.1.»vom Stamm der Athabasken«.

Il ruolo dei Nativi americani nella dimensione onirica narrata da Handke: l’immagine del ricordo. Nella scena finale dell’opera il gruppo-clan ‒ per la terza ed ultima volta ‒ è finalmente al completo, e salutando il pubblico che rappresenta la vita del mondo contemporaneo del quale Ich è inconsapevole complice, scompare sullo sfondo mentre, »In-die-Hände-Klatschen und Fingerschnipsen hin [18]«, irrompono danzando sulla scena, quasi trascinati da un impulso dionisiaco, le persone ‘nuove’, la gente di oggi, icona della contemporaneità che con il suo arrivo infrange il sogno del protagonista-Handke, segnandone l’amara conclusione.

E se davvero una memoria dei „Vorfahren“ rimarrà,

intanto questi, ora, si separano dal protagonista e dagli altri componenti della famiglia, divisi da persone che continuano, con prepotenza, a prendere il posto da essi finora occupato sulla scena. Così, se all’inizio i parenti si erano presentati insieme, ora, lungi dall’utilizzare il saluto dello Jaunfeld ‒ la stretta di mano ‒ questi sono obbligati a congedarsi, con un semplice gesto di saluto. Mentre l’insieme dei nuovi arrivati si fa largo sulla scena, ad Ich sembra di percepire, al termine del sogno, la presenza di figure che per eccellenza rappresentano l’emblema della memoria, di chi è stato cacciato e represso nella propria terra eppure è rimasto e può essere testimone: i Nativi americani. Questi rappresentano, di fatti, una sorta di tòpos nella narrativa di Handke. Di grande bellezza sono, infatti, le topografie paesaggistiche e le tipiche figure dei personaggi del romanziere statunitense J.F. Cooper (1789-1851) che ritornano nella produzione dello scrittore, pedagogo e pittore austriaco Adalbert Stifter (1805-68).

Nella prosa di Handke,

sull’esempio sia del primo che del secondo, fanno ritorno Nativi americani che incarnano, in questo caso, il ruolo di personaggi dispersi o confusi, in ricordo dell’epocale depredazione e dei ‘saccheggi’ avvenuti nel XIX secolo: il Nazismo, la Guerra Fredda, infine i bombardamenti NATO. In un ulteriore romanzo handkiano, „Langsame Heimkehr [19]“, il personaggio principale, Valentin Sorger, nel viaggio di ritorno dall’Alaska in Europa, vede passare davanti a sé alcune persone in una metropoli »in einer weiten, noch schattigen Mulde zwischen zwei Hügeln [20]« quasi fossero indiani del Nord ed è proprio in questa incessante processione che si mostrano, improvvisamente, »die Inbilder seiner Verstorbenen«[21].

Anche in questo passo, dunque, l’immagine degli indiani funge da emblema della memoria degli antenati deceduti che, attraverso il ricordo, ritornano in vita a seguito di un ulteriore fenomeno di ripetizione. Al termine dell’opera, definita dallo stesso Höller: »Handkes Slowenien-Stück [22]«, ritorna l’immagine di Nativi americani provenienti, di preciso, »vom Stamm der Athabasken [23]« e, più precisamente, da »einem ehemaligen Goldgräberdorf in Alaska [24]«, i quali intendono mostrare un segno che possa farsi testimonianza non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista verbale, del fatto che loro sono ancora presenti, sebbene si tratti di un sogno. Nelle ultime immagini che compongono la ‘Zeitreise’ handkiana, di fatti, queste figure si scambiano saluti, prove tangibili della loro stessa esistenza: »He, ich bin noch da! – Und ich auch! –Und ich auch!, und dann hocken sie sich wieder hin [25]«.

Note:

  • [1] P. Handke, Immer noch Sturm, Berlin: Suhrkamp 2010, S. 160. «‒ E ora tocca a me fare un indovinello: cos’è quella cosa che geme sopra la panca, e mi trattiene contro il mio volere, e ringhia e scalpita, e s’infuria e urla, e rimbomba e strepita, e che già da molto tempo non è più bella?» ‒Io: «?» ‒ Gregor: «L’umanità»., Peter Handke, Ancora tempesta, Macerata: Quodlibet 2015, trad. a c. di Angela Scròfina e Ylenia Carola, p.127. Si osservi come in questo caso le volute allitterazioni in fricativa dentale sorda – s ‒, in occlusiva bilabiale sorda – b ‒ e in vibrante alveolare sonora – r ‒ contribuiscano a rendere l’idea di velata confusione delle percezioni.
  • [2] Orfeo è un personaggio interessante nel quadro di quest’opera. Tradizionalmente connesso all’elemento apollineo in quanto associato alla figura di benefattore e difensore delle arti, per quanto riguarda la componente dionisiaca, egli gode di un rapporto simbiotico con il mondo naturale ed è presente nel concetto di rigenerazione della natura. Tra le varie versioni del mito, si potrebbe citare quella contenuta nelle Georgiche (36-29 a.C.) di Virgilio, nelle quali si legge che Orfeo sarebbe stato condannato dalle Baccanti alla punizione della διά-σπαραγμός ‒ sarebbe stato fatto a pezzi ‒ in quanto avrebbe mancato di rispetto al culto di Dioniso, stabilendo di non voler più amare altra donna se non l’ormai perduta Euridice, una volta fatto ritorno dagli inferi. Riguardo al tema dello sguardo, nel celeberrimo mito di Orfeo ed Euridice narrato nel decimo Libro delle Metamorfosi ovidiane, si narra di come la regina degli inferi lasci che Euridice torni dall’Ade sulla terra poiché intenerita da Orfeo. La condizione prevedeva che Orfeo precedesse Euridice per tutto il percorso fino alla porta dell’Ade senza mai voltarsi. Sulla soglia degli Inferi, credendo di esser già uscito dal Regno dei Morti, Orfeo non riesce però a resistere al dubbio e scioglie la promessa del noli respicere (lett. «Non voltarti indietro») costretto così a vedere Euridice scomparire all’istante e tornare negli inferi per l’eternità.
  • [3] P. Handke, Die Hornissen, Frankfurt am Main: Suhrkamp 1966.
  • [4] “L’ordine dei movimenti”; H. Höller, Das Werk Peter Handkes. Eine ungewöhnliche Klassik, Berlin: Suhrkamp 2013, S.27.
  • [5] “Non appena lo chiamai, sprofondò [nella lastra di ghiaccio].”, P. Handke, Die Hornissen, S. 277, Trad. mia.
  • [6] P. Handke, Die Wiederholung, Frankfurt am Main: Suhrkamp 1986.
  • [7] Lettera al padre. Lettera redatta nel 1919 dal praghese F. Kafka (1883-1924) ed indirizzata a suo padre, ma pubblicata postuma nel 1952 (traduzione it. di A. Rho, Milano: Il Saggiatore 1959).
  • [8] P. Handke, Immer noch Sturm, S. 74. «Mi volto e vedo, appena dietro di me, i due fratelli di mia madre, i sopravvissuti. In effetti già da tempo sulla scena. Ma ancora una volta aggrovigliato nei miei pensieri non mi ero accorto del loro arrivo.», P. Handke, Ancora tempesta, ed. cit., p. 62.
  • [9] Lett.: “La Polca del tedio del mondo”.
  • [10] Ivi, S. 154. «Un’altra luce, perpetua, deve illuminarvi!», P. Handke, Ancora tempesta, ed. cit., p. 123.
  • [11] Ibid., «Così penso a voi, e viceversa mi penso da voi pensato.», P. Handke, Ibid.
  • [12] Euripide, Le Baccanti, Euripide, Le Baccanti, Premessa, introduzione, traduzione, costituzione del testo originale e commento a cura di V. Di Benedetto, Milano: BUR Classici greci e latini 20102, Vv. 469-70, II Episodio, p. 211. In questa risposta data da Dioniso a Penteo la tematica del doppio si manifesta già a partire dalla disposizione verbale, ovvero dalla sequenza dei due participi che segnano l’inizio del v. 470: ὁρῶν ὁρῶντα . Al participio presente ὁρῶν (ovvero guardando, mentre io guardavo) con funzione di soggetto, segue infatti il participio presente ὁρῶντα (trad. lett.: colui che guardava me) con funzione di compl. ogg. diretto. Un indizio del tema della percezione per certi versi analogo alla rilettura proposta da P. Fedeli e situato, a sua volta, nel tema letterario del Doppio e degli automi, ha luogo nel racconto notturno” intitolato „Der Sandmann“ (L’uomo sabbiolino, 1815) composto dall’autore del Romanticismo tedesco E.T.A. Hoffmann ed incluso nei Nachtstücke (Racconti Notturni, 1816-7, raccolta di due volumi).
  • [13] Si, noti a tal proposito, l’approfondimento fornito da P. Fedeli in merito al tema dello sguardo nella letteratura classica, in quanto conoscenza di sé e dell’altro o della divinità nel momento del culto, (P. Fedeli Petronio: il viaggio, il labirinto, in Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici, Pisa: Fabrizio Serra Editore 1981, pp. 91-117).
  • [14] Si noti come il protagonista sia doppio e perfetto alter ego di Handke. Basti pensare al fatto che il protagonista e “testimone” degli eventi si chiami, non a caso, »Ich«, letteralmente: “Io”.
  • [15] Lett. “Gli antenati”.
  • [16] Si osservi come sia forte, anche in questo frangente, il tema dell’invocazione intesa come ripetizione della presenza degli antenati di cui si legge, inoltre, nel romanzo Die Wiederholung.
  • [17] P. Handke, Immer noch Sturm, S.155. «Un figlio dell’amore lo sei tu stesso, discendente. Solo un figlio dell’amore dipinge simili ingenuità. Costruisce spazi cosmici con quello che sogna qua e là. Sogna, e stabilisce che noi morti non siamo morti. Ma siamo morti, discendente, morti. Morti notte dopo notte, e senza un Giorno del Giudizio.», P. Handke, Ancora tempesta, ed. cit., p. 123.
  • [18] «battendo le mani e con uno schiocco di dita», P. Handke, Ivi, S. 166.
  • [19] P. Handke, Langsame Heimkehr, Berlin: Suhrkamp Verlag 1979.
  • [20] «in un fossato scavato, piccolo ma ombreggiato, situato tra due colline», P. Handke, Ivi, S. 164.
  • [21] «Il riflesso dei cari defunti», P. Handke, Ibid.
  • [22] H. Höller, op. cit., S. 72.
  • [23] «della tribù degli Athabaska», P. Handke, Immer noch Sturm, S. 165.
  • [24] «quello che un tempo era un villaggio di cercatori d’oro dell’Alaska.», Ibid.
  • [25] Ivi, S. 166. «Ehi, sono ancora qua! ‒ Anch’io ‒ E pure io!, e poi si rimettono di nuovo a sedere.», Ancora tempesta, ed. cit., p. 132. Si evidenzia, in questo frammento, un’associazione di stampo autobiografico con il ricordo dei parenti dell’autore stesso nel contesto storico dell’espulsione dei carinziani sloveni. Inoltre, in Die Wiederholung (La ripetizione, 1986) la figura femminile che condurrà il protagonista alla riscoperta della propria infanzia verrà definita, dall’autore stesso: »Karst-Indianerin« (“Indiana carsica”).

Bibliografia

1. Testi primari 

  • Handke P. (1966), Die Hornissen, Frankfurt am Main: Suhrkamp.
  • ID, (1977), Das Gewicht der Welt. Ein Journal, Frankfurt am Main: Suhrkamp Taschenbuch (Il peso del mondo [1981], traduzione di R. Precht, Guanda: Milano).
  • ID, (1979), Langsame Heimkehr, Frankfurt am Main: Suhrkamp.
  • ID, (1980), Die Lehre der Sainte-Victoire, Frankfurt am Main: Suhrkamp.
  • ID, (1986), Die Wiederholung, Frankfurt am Main: Suhrkamp.
  • ID, (1986), Gedicht an die Dauer, Frankfurt am Main: Bibliothek Suhrkamp.
  • ID, (1987), Il cielo sopra Berlino, con Wim Wenders, sceneggiatura.
  • ID, (1991), Versuch über den geglückten Tag. Ein Wintertagtraum, Frankfurt am Main: Suhrkamp (Saggio sulla giornata riuscita. Sogno di un giorno d’inverno [1993], traduzione e postfazione di R. Zorzi, Garzanti: Milano).
  • ID, (1994), Mein Jahr in der Niemandsbucht. Ein Märchen aus den neuen Zeiten, Frankfurt am Main: Suhrkamp (Il mio anno nella baia di nessuno. Una fiaba dei nuovi tempi [1996], traduzione di C. Groff, Garzanti: Milano).
  • ID, (2006), Es leben die Illusionen. Gespräche in Chaville und anderswo, Gespräch mit P. Hamm, Göttingen: Wallstein Verlag.
  • ID, (2010), Immer noch Sturm, Berlin: Suhrkamp (Ancora tempesta [2015], traduzione di A. Scròfina e Y. Carola, Quodlibet: Macerata).

2. Testi secondari

  • Chiarloni A. (1989), La crisi della ragione, in: Kleist, Heinrich, von, (1989), Pentesilea, introduzione di A. Chiarloni, traduzione di E. Filippini, Giulio Einaudi: Torino 1989, pp. 5-14.
  • Fedeli P. (1981), Petronio: il viaggio, il labirinto, in Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici, Pisa: Fabrizio Serra Editore, pp. 91-117.
    Hafner, Fabjan, (2008), Peter Handke. Unterwegs ins Neunte Land, Wien: Paul Zsolnay.
  • Höller H. (2013), Eine ungewöhnliche Klassik nach 1945. Das Werk Peter Handkes, Berlin: Suhrkamp.
  • Kitzmüller H. (2001), Peter Handke. Da Insulti al pubblico a Giustizia per la Serbia, Torino: Bollati Boringhieri.
  • Zorzi R. (1993), Nulla dies sine linea, in: Handke, Peter, (1993), Saggio sulla giornata riuscita. Sogno di un giorno d’inverno, traduzione e postfazione di R. Zorzi, Garzanti: Milano 1993, pp. 67-76

3. Testi di carattere generale

  • Béguin A. (2002), L’anima romantica e il sogno. Saggio sul Romanticismo tedesco e la poesia francese, traduzione di: L’Âme romantique et le rêve: Essai sur le romantisme allemand et la poésie française, (19371) di U. Pannuti, Milano: Il Saggiatore.
  • Ginzburg A. (2011), Il miracolo dell’analogia. Saggi su letteratura e psicoanalisi, Pisa: Pacini Editore.
  • Žmegač, Viktor et alii, (2000), Breve storia della letteratura tedesca. Dalle Origini ai giorni nostri, Torino: Giulio Einaudi.

4. Altri testi consultati

  • Bernhard T. (1992), Piazza degli eroi, traduzione ed introduzione di R. Zorzi, Garzanti: Milano.
  • Euripide (2012), Le Baccanti, Premessa, introduzione, traduzione, costituzione del testo originale e commento di V. Di Benedetto, con testo a fronte, BUR Classici greci e latini: Milano.
  • Kleist H. (1988), Il Principe di Homburg, introduzione di L. Forte, traduzione di I.A. Chiusano, Giulio Einaudi: Torino.
  • ID (1989), Pentesilea, introduzione di A. Chiarloni, traduzione di E. Filippini, Giulio Einaudi: Torino.
  • Pavese C. (2014), La luna e i falò, introduzione di G.L. Beccaria, Torino: Giulio Einaudi.
  • Pirandello L. (2008), Cento Novelle, Santarcangelo di Romagna (RN): Rusconi Libri.
  • Proust M. (1988), Du côté de chez Swann, préface de Antoine Compagnon, Paris : Éditions Gallimard.
  • Sartre J. (1943), L’Être et le Néant: Essai d’ontologie phénoménologique, Paris: Éditions Gallimard.

Articolo scritto da,

Alessandro Pulimanti

 

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