Privacy Policy Schnitzler e la psicanalisi: il medio-conscio come territorio dell’esperienza umana - The Serendipity Periodical
Schnitzler e la psicanalisi: il medio-conscio come territorio dell’esperienza umana

Schnitzler e la psicanalisi: il medio-conscio come territorio dell’esperienza umana

Letteratura e Psicanalisi

Che la letteratura, e il romanzo in particolar modo, rappresentino la narrazione per antonomasia a partire dalla quale sono scaturite tutte le altre forme di raccontare il mondo (scienza inclusa), è cosa abbastanza chiara negli ambienti accademici già da qualche decennio. Le nostre stesse capacità cognitive sono, per così dire, diegetiche. Cioè mettono in relazione i dati raccolti dalla nostra esperienza in base al prima e al dopo, per mezzo delle categorie di finalità, di causa-effetto, di tempo e di modo. Tutto questo rientra perfettamente nella struttura basilare di una storia, di un racconto e quindi di una narrazione. Eventi correlati tra di loro e provvisti di senso.

Tutto ciò è tanto più valido se si considerano le scienze ‘non dure’, quelle scienze cioè che non si occupano del mondo extralinguistico, ma, al contrario, del vissuto umano interiorizzato. Sono le scienze fenomenologiche, sebbene molte di queste siano nate sotto l’influsso del positivismo ottocentesco e della sua incessante mania di oggettivare e reificare i fenomeni esperiti. Prima fra tutte, la psicologia e la conseguente psicoanalisi. Essa è scienza del vissuto stricto sensu, in quanto il suo obiettivo sarebbe quello di scandagliare e passare in rassegna le esperienze interiori dell’individuo e carpirne le eventuali fratture che ne determinano l’instabilità psico-emotiva.

Schnitzler e Freud, l’uno il doppio dell’altro

La letteratura, pertanto, si presta molto bene ad essere un valido strumento di indagine psico-patologica. Un concetto questo che Arthur Schnitzler aveva intuito perfettamente durante la sua attività letteraria, tanto da consacrarla a tale compito. Non vi è, infatti, alcun dubbio che il noto romanzo pubblicato in Italia sotto il titolo di Doppio sogno (Traumnovelle) abbia intrinsecamente un legame molto stretto con la psicoanalisi. Anzi, il lettore sembrerebbe quasi essere naturalmente portato a concepire proprio la psicoanalisi come il modello di interpretazione prediletto della novella. Se si considerano, poi, gli anni di scrittura e pubblicazione (1921-1925, sebbene la struttura del romanzo era già stata abbozzata nel 1907), allora l’affinità e la dipendenza dalle precedenti scoperte freudiane diventano ancora più esplicite. 

C’è da presuppore, e con ragione, che Schnitzler conoscesse molto bene i lavori del dottor Freud. E che avesse indubbiamente letto e preso in seria considerazione la sua Traumdeutung. Tuttavia, come è possibile apprezzare da alcuni scambi epistolari e dalle reciproche affermazioni, le sue posizione in merito alla struttura della coscienza umana erano alquanto differenti e meno rigide rispetto alla classica partizione freudiana. 

Così, mentre il dottor Freud elogia i grandi capolavori del romanziere austriaco arrivando ad affermare che:

‘’Riesce a comprendere per intuizione, ma in verità a causa di raffinata autopercezione, tutto ciò che io ho scoperto negli anni attraverso un lavoro faticoso […] è un ricercatore della psicologia del profondo, così onestamente imparziale e impavido come non ve ne sono stati mai’’

Freud, Lettera a Schnitzler, 1922

al contrario Schnitzler da sempre ha cercato di limitare ed inibire il suo entusiasmo per i recenti lavori freudiani. Particolarmente indicative sono una serie di riflessioni trascritte nel suo Über Psychoanalyse. Trattasi, in particolare, di un libello pubblicato dopo la sua morte in cui raccolse alcune considerazioni sulla nascente metodologia d’indagine. In questa sede, più volte si ritrova ad affermare che

‘’Non è nuova la psicoanalisi, ma Freud. Così come non era nuova l’America, ma Colombo’’. 

R. Urbach, Schnitzler, Über Psychoanalyse, 1987
Photo by Gabriel on Unsplash


Il continuum psichico

Parallelamente, nel suo diario alla data 9 marzo 1915 scriverà:

‘’Non accordo all’inconscio una eccessiva autorità […] gli interpreti e gli psicanalisti svoltano troppo sollecitamente in questa strada’’

A. Schnitzler, Tagebuch, 1913-1916

In altri luoghi arriverà addirittura ad affermare che l’interpretazione dei sogni messa in pratica dalla consuetudine psicanalitica sembra munirsi di un processo che lascia troppo spazio all’arbitrarietà. E dunque, proprio per questo, largamente priva di legittimità scientifica.

Ma la critica principale mossa dal romanziere è proprio riservata alla bipartizione netta e rigida tra la parte consapevole e quella inconsapevole della coscienza umana praticata da Freud, prima ancora di stabilire quale delle due abbia il maggiore predominio sull’altra. Secondo le considerazioni di Schnitzler, infatti, la psicoanalisi freudiana presenterebbe la natura della coscienza umana come forzatamente bipolare e scissa nella dialettica conscio/subconscio. Dimenticando, invece, che ogni fenomeno naturale appartiene ad un continuum ininterrotto di eventi che non può essere sezionato dall’esterno, nemmeno per esigenze di classificazione accademiche. 

Un territorio inesplorato: il medio-conscio

Esiste, dunque, secondo Schnitzler, una zona intermedia della psiche in cui progressivamente la nostra consapevolezza sfuma indefinitamente verso il subconscio; laddove si consuma la gran parte delle nostre esperienze di vita. Questa parte mediana del nostro vissuto funge quasi da ascensore cognitivo, in entrambe le direzioni. Egli lo definisce medio-conscio (Mittelbewusstsein/Halbbewusstsein), un territorio inesplorato dalla psicanalisi che permette il trasalire di eventi o traumi verso la parte consapevole del Sé. Un luogo intermedio e fluttuante fra conscio e inconscio. Ancora nei suoi appunti si legge:

‘’il medio-conscio rappresenta il campo più vasto della nostra vita psichica e spirituale, da lì gli elementi salgono ininterrottamente verso il conscio o precipitano nell’inconscio […] la rimozione avviene molto più spesso in direzione del medio-conscio che dell’inconscio’’

A. Schnitzler, Über Psychoanalyse

Lo scrittore era, pertanto, convinto che la maggior parte della nostra vita viene trascorsa in questo stato di semi-consapevolezza. Durante il quale gli elementi inconsci salgono ininterrottamente verso la coscienza. E ciò provocando reminiscenze improvvise, lapsus, immagini eversive, collegamenti analogici privi di apparente motivazione causale o déjà-vu. Sarebbe, in tal senso, proprio questa permeabile zona intermedia a permettere la comunicazione tra i due regni e, in ultima analisi, il lavoro stesso della psicanalisi. In quella stessa pagina, egli conclude infine che:

‘’Tracciare quanto più decisamente è possibile i limiti fra conscio, semiconscio e inconscio, in ciò consisterà soprattutto l’arte del poeta’’

A. Schnitzler, Aphorismen und Betrachtungen, a cura di Robert O. Weiss, Francoforte, 1967

Un vero e proprio manifesto del suo lavoro letterario.

Doppio sogno di A. Schnitzler: un romanzo onirico-reale-surreale

Il tema cardine, intorno al quale ruota l’intero edificio narrativo di Traumnovelle, è una costante nei lavori di Schnitzler. Ma si affina e raggiunge la piena maturità proprio in questo romanzo. Siamo di fronte alle alterne, trasognate e tormentate fasi esistenziali della vita di una coppia, in preda allo sgomento dovuto all’assoluta instabilità perturbante della vita. Del resto, il tema del deterioramento della vita matrimoniale non è certamente una novità per l’autore. In molti altri luoghi ha trattato suddetta tematica e sempre con lo stesso spirito indagatore. Sembra esserci quasi una fatale attrazione che lo spinge a considerare il rapporto uomo-donna e il progressivo frantumarsi della loro comunicabilità.

Una coppia apparentemente sana e ordinaria, ben allocata nella medio-alta borghesia viennese, che improvvisamente rivela delle crepe. Viene generandosi a poco a poco una condizione di incomunicabilità tra i due personaggi innescata improvvisamente da un evento fortuito. Assolutamente casuale e occasionale che, però, è in grado di mettere in discussione tutto il resto. La resa in italiano del titolo (Doppio sogno), questa volta, è particolarmente felice. Una scelta che lascia ben trasparire come le due rispettive realtà dei personaggi siano fenomeni speculari che si compenetrano continuamente fino a coincidere quasi del tutto. 

Photo by Pelly Benassi on Unsplash


La commedia del disinganno

Sette capitoli che percorrono emblematicamente sette fasi distinte della frantumazione e ricostituzione di un rapporto di coppia, forse sin dall’inizio sull’orlo del baratro. La facciata e l’apparente regolarità della loro vita si staglia fragilmente al di sopra di un groviglio di dubbi, esitazioni, perplessità, debolezze e rabbia che porteranno i protagonisti a dover, a loro modo, sublimare necessariamente le loro aspirazioni mancate e represse. 

Ambedue i personaggi vivono una sorta di commedia (principalmente Fridolin, il marito) in cui il disinganno è sempre dietro l’angolo, in cui la realtà non coincide mai con le aspirazioni e il desiderio sessuale è sempre prontamente inappagato. Questo vortice di pensieri inespressi trasuda continuamente dai momenti di scarsa lucidità, dagli affanni e dalle occasioni mancate. Tutto ciò porta alla costruzione di due caratteri principalmente alienati dalla vita e dalle loro esistenze. Pur continuando, questi, pacificamente a svolgere i compiti del lavoro quotidiano e della vita in società.

I due personaggi si rifugiano sempre di più nei rispettivi mondi inespressi, per poter evadere dalle loro tristi realtà. Un progressivo ed inarrestabile meccanismo di individuazione che separa sempre più vividamente la coppia. Una separazione magistralmente rievocata dalla scena in cui i due si appisolano l’uno di fianco all’altro, senza toccarsi, in una posa longilinea da rigor mortis priva di complicità:

‘’ Si stese vicino ad Albertine che sembrò essersi assopita. Una spada tra noi, pensò di nuovo. E poi: sdraiati fianco a fianco come nemici mortali. Ma erano solo parole’’.

A. Schnitzler, Doppio Sogno, Adelphi, 1977

Maggiore è la profondità del sogno, e la sublimazione delle speranze inespresse, e maggiore sarà la distanza consumata con l’altro. 

Il sogno e la catarsi

Albertine si rifugia nei sogni, in senso freudiano, appagando i suoi desideri di vendetta e le sue pulsioni attraverso le immagini oniriche. Queste verranno, poi, puntualmente raccontate al marito che ne viene fortemente turbato. Albertine sogna di trovarsi all’intero di una grande orgia collettiva, a cui lei prende parte assieme ad un misterioso uomo danese incontrato l’anno prima in vacanza. Nello stesso tempo, Fridolin vive di notte una serie di avventure erotico-surreali prendendo parte ad una festa in maschera privata e misteriosa, in cui è necessaria una parola d’ordine e nella quale i corpi meravigliosi di varie donne gli si offrono spontaneamente in dono. 

Tutte queste evasioni rappresentano perfettamente quella che Schnitzler considerava essere la continua discesa nell’inconscio di una coscienza inappagata e alienata. Il tutto mentre il resto delle loro esistenze si svolge nel medio-conscio, in attesa che qualcosa li trascini in basso o li faccia risalire. Il sogno ha dunque un valore catartico e terapeutico, poiché consente ai caratteri di assorbire definitivamente i loro impulsi aggressivi ed autodistruttivi, ristabilizzando a poco a poco le loro vite.

L’uomo senza qualità di Schnitzler

L’esperienza onirica serve a catalizzare la doppia crisi che contraddistingue la coppia, dissipando le energie psichiche accumulate. Sono personaggi deboli, senza qualità e senza pregi che s’annullano completamente nei ruoli sociali che ormai da anni impersonificano con inerzia e automatismo. 

Fridolin spesso, infatti, si consola ricordando a sé stesso di essere un giovane medico alle soglie del successo, di avere una bella moglie ed una figlia. Sono, questi, tutti simboli sociali con cui il personaggio tenta disperatamente di legittimare la sua stessa vita e riscattarla dall’angoscia esistenziale. Anche quando si trova nella più atroce delle disperazioni, pensa al momento in cui farà il suo giro in ospedale per visitare i pazienti. Come se la routine lavorativa fosse l’estremo rifugio di una coscienza che non è in grado di fare i conti con la mediocrità della propria esistenza. Il valore sociale è ormai ciò con cui l’uomo si identifica e misura il suo successo nella vita. Ma il contraccolpo proviene dalle regioni più remote ed affiora senza remore, sin dalle prime pagine.

Tratto dal celebre film di Stanley Kubrick, ”Eyes Wide Shut”

Una vita passata nell’inconsapevolezza

Emblematica ed altamente suggestiva è la scena finale. Qui, Fridolin dopo l’ennesima notte di evasione e insoddisfazione (tutti i suoi propositi sessuali si sono miseramente infranti contro le variabili del caso) ritorna a casa, nel letto di fianco ad Albertine e ritrova, poggiata sul suo cuscino, la maschera con cui la sera prima aveva partecipato al ‘ballo’ misterioso. Lì, su quel letto, cade dunque la maschera dell’alienazione e si rivela tutta la farsa delle ore precedenti. 

Così come l’allucinante confronto con i cadaveri che Fridolin deve affrontare poco prima, nel tentativo di riconoscere la sua misteriosa amante che crede essere morta durante la notte. Questi due ambienti emotivi, il letto con la maschera e la camera mortuaria, evidenziano la fine di ogni evasione che ritorna inevitabilmente alla dissuasione da qualsiasi fantasia. È il crudo e, alle volte, orrido ritorno alla verità della coscienza. Il suo riaffiorare dal medio-conscio, tutto il fragore interno risale piano piano verso la consapevolezza e si raffredda. 

Tutta la vicenda è la storia dell’allontanamento emotivo e del tentativo di ricongiungimento della coppia. E’ un traumatico ondeggiare (fluttuare) tra la comprensione e l’incomprensione, sintomo di una vita alienata e inconsapevole, vissuta in quella terra di mezzo, anch’essa fluttuante e senza stabilità emotiva, in cui le maschere, i ruoli e le contraddizioni sociali soffocano di continuo l’impulso alla vita. 

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