Privacy Policy Imago sive nihil - Racconto di Claudio O. Menafra - The Serendipity Periodical
Imago sive nihil - Racconto breve

Imago sive nihil – Racconto di Claudio O. Menafra

Imago sive nihil

 

‘La veglia è un altro sogno che sogna di non sognare”
(Jorge Louis Borges)

 

 

 

Quella notte Eufemio si ritrovò in una stanza stretta ed angusta dai colori spenti e fustigati. Nessuna finestra, solo un aspro e pungente odore di stantio che attraversava il suo olfatto, divenuto d’un tratto così sensibile e responsivo, mentre cercava di capire quali strani eventi lo avessero frastornato così tanto da non ricordare nulla dei momenti precedenti.

Eufemio era immobile nella penombra con una donna tra le braccia, priva di respiro e macchiata del folle sangue di un omicidio. Era pesante, tumefatta, e portava nel suo grembo un’esile creatura che aveva indirettamente subito lo stesso terribile destino. Nonostante tutto l’orrendo spettacolo, però, Eufemio rimase calmo e sereno nello spirito, osservava quel corpo con curiosità e stupore. Non era stato lui. Osservava quel corpo con lo stesso distacco di chi osserva il volo regolare e geometrico degli uccelli al tramonto. Non era stato lui. Si alzò, e lentamente prese cognizione dell’ambiente circostante che ora appariva totalmente deturpato e dimenticato dal mondo. Pochi istanti dopo, in lontananza, riconobbe il rumore delle sirene della polizia che si approssimavano. All’arrivo gli agenti non ci misero molto a dedurre la folle dinamica che avevano preso gli eventi, o almeno quello che a loro sembrò essere accaduto. Così scortarono Eufemio nella volante e, dopo averlo sistemato sul sedile di dietro, sfrecciarono verso la centrale a sirene spiegate. Eufemio non disse nulla per tutto il tragitto, e neppure all’arrivo.

Passò quello che a Eufemio parve un tempo indefinito, forse settimane, sdraiato su di una lastra di metallo fredda e rigida della sua cella umida, senza niente che potesse intrattenerlo, se non quella strana ed alienante calma recondita che continuava a regnare incontrastata tra le radure del suo Sé, che neppure la fustigazione delle proprie libertà aveva scardinato. La sua cella era striminzita, claustrofobica, e se non fosse stato per le piccole sbarre che spezzavano la continuità del cemento armato di cui era fatta la porta d’ingresso, sarebbe stata una trappola di morte perfetta. Tutti i pensieri di Eufemio erano calmi, raffermi. Aveva avuto la precisa sensazione che l’attività stessa del suo pensiero fosse radicalmente cambiata da un certo punto in poi. Non si trattava più di un saltare convulso da un’idea ad un’altra, ora era l’esatto opposto, e cioè rivolgere tutta l’attenzione ad una sola ed unica idea, immergersi e confondersi in essa. Ad Eufemio parve di scorgere una legge antica delle cose, quella stessa legge in grado di generarne il movimento continuo e la persistenza. Vide chiaramente il legame intimo e mortale che lega pensiero e desiderio: entrambi bramano oggetti, prima li posseggono e poi li abbandonano; si muovono alla cieca da un vuoto ad un altro, rincorrendo spettri da loro stessi generati; sono in continua fibrillazione e si indirizzano a ciò che nel momento presente non esiste. Chi pensa al presente, di fatto, non pensa. Lo stesso vale per il desiderante: desiderare ciò che realmente si possiede è esattamente smettere di desiderare.

Un’unica idea occupava tutta la sua morbosa attenzione, l’evento per il quale aveva avuto bisogno di tutta una vita per prepararsi.

Ad un tratto sentì chiamare il suo nome dalla cella affianco. Era Corelli, l’uomo condannato alla sedia elettrica per aver ammazzato di botte un’anziana signora durante la sua spesa. Pare che Corelli odiasse profondamente gli anziani, forse senza motivo. Diceva che gli provocavano un incontenibile prurito alle mani, per cui sentiva l’esigenza di fracassare chiunque la morte aveva risparmiato per troppo tempo. L’aveva più volte definita la sua ‘missione’.

Imago sive nihil - Racconto breve
Photo by Jr Korpa on Unsplash

– Credi che sarà come venire al mondo? Cioè, nessuno di noi ricorda qual è stata la prima immagine che ha visto dopo esser sbucato dalla fica di sua madre! È avvenuto tutto in modo, direi, automatico e naturale. Una volontà più forte di noi ha operato per noi durante quei momenti, in attesa che imparassimo da soli. Forse quella volontà non ci ha mai abbandonati. Ogni notte ci impone di abbandonare la coscienza. Ci da la possibilità di esercitarci. Tutti gli uomini hanno dovuto imparare a poco a poco l’esperienza di un sonno senza sogni: dapprima le immagini prendono il sopravvento, ma poi anch’esse svaniscono e la coscienza si disperde nel buio profondo della notte. Non credi sia tanto generosa, la natura? –

Dalle sbarre di metallo, il cappellano eletto dal giudice chiese poi a Eufemio quali fossero i suoi ultimi pensieri e se Dio fosse stato presente nella sua vita. Eufemio si limitò ad un cenno appena percepito con il capo. Eufemio avrebbe voluto parlare e forse dire qualcosa di importante, qualcosa che qualcuno avrebbe potuto ricordare. Ma poi pensò si trattasse di preoccupazioni ancora troppo affini al regno dei viventi, che ormai non avrebbero dovuto più coinvolgerlo. Ringraziò e imboccò la sua strada.

Il padiglione era un limbo lungo quasi centro metri, Eufemio li percorse tutti in un tempo indefinito. Quando entrarono nella camera d’esecuzione e le porte si richiusero prontamente alle sue spalle, Eufemio si guardò intorno. C’erano molte più persone di quelle che aveva immaginato sino ad allora: guardie, impiegati del carcere, burocrati, un fotografo, giornalisti, curiosi e qualche studentello universitario che voleva assistere all’unico omicidio permesso dallo Stato. Ma gli ci volle poco per ripiegare nuovamente su sé stesso.

All’improvviso, un’immagine squarciò tutta la rappresentazione fatale a cui Eufemio stava assistendo. La sala divenne buia. E poi nuovamente fu la luce. Eufemio accusato, condannato e scortato alla sedia elettrica cominciò a dubitare della veridicità di quella rappresentazione. Perché lo avevano accusato? Di cosa si era macchiato? E perché non aveva mai contestato all’accusa? Dov’era il suo avvocato? Quando era avvenuto il processo?

Eufemio si svegliò. Dinanzi ai suoi occhi accecati dalla luce che filtrava da una finestra in fondo alla camera, vide sua moglie bella come non mai. Suo figlio. Entrambi guardavano con amorevole affetto Eufemio distesi allegramente sulle tiepide lenzuola stropicciate del suo letto. Eufemio capì d’un colpo che il crimine, il processo, l’esecuzione erano stati soltanto lo scherzo giocatogli dal sonno e che si trattava di immagini oniriche ormai scomparse. Ringraziò il cielo. Guardò le due creature negli occhi. Tremante e ancora terribilmente scombussolato dalle precedenti visioni non ci pensò due volte e baciò sua moglie e suo figlio sulla fronte.

Proprio in quel momento una tremenda scossa attraversò cruenta l’intero corpo di Eufemio. La scarica elettrica interruppe tutto, friggendo per alcuni secondi le membra di Eufemio che rimase impietrito, con lingua di fuori, e gli occhi eternamente persi nel vuoto.

 

 

Racconto di

Claudio O. Menafra

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