Privacy Policy I Regimi, la crisi del neopatrimonialismo nell’epoca della democratizzazione - The Serendipity Periodical

I Regimi, la crisi del neopatrimonialismo nell’epoca della democratizzazione

I regimi, l’epoca della terza ondata democratica

Questa ondata di democratizzazione riparte negli anni ’70 in Europa col rovesciamento dei regimi neopatrimoniali sopravvissuti alle vicende della seconda guerra mondiale in Spagna, nel Portogallo e nella Grecia. Tuttavia una seconda fase, tra il 1976 e il 1985 registra moti rivoluzionari che segnano il tramonto del neopatrimonialismo in molti paesi dell’America latina (Bolivia, Equador, Rep. Dominicana, Argentina, Brasile, Granada, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Perù). Inoltre nell’ambito di questa ondata si registra una terza fase, tra il 1995 e il 2005, quando adottano un regime democratico la Bosnia, l’Erzegovina, la Croazia, la Serbia, il Kosovo, il Messico, l’Indonesia, l’Afganistan, il Togo, il Kenia, il Senegal e la Liberia. In questo caso, però, il termine “democrazia” è usato con accezione generica, perché nella realtà gli esiti democratici volti a rovesciare i neopatrimonialismi risultano solo in parte positivi.

I Regimi, la crisi del neopatrimonialismo nell’epoca della democratizzazione

Come sottolinea Pietro Grilli, numerosi sono infatti gli stati in cui la democratizzazione è instabile o solo parziale, perché in essi operano governanti autoritari che in momenti particolarmente difficili si trovano costretti a introdurre procedimenti democratici per placare le insistenze interne o evitare l’ingerenza esterna. In alcuni casi poi le elezioni portano al potere leader o movimenti politici del tutto contrari alla democrazia, che sottopongono il paese a una politica autoritaria, cancellando le tracce lasciate dal precedente impianto democratico. Ciò è dovuto essenzialmente alla tipologia del regime al potere, le condizioni socioculturali dei paesi coinvolti e i condizionamenti esterni, come quelli che hanno travolto i regimi di Hussein in Iraq e di Gheddafi in Libia. Il primo e, forse, più importante di tali fattori è dato dalla tipologia dei regimi al potere, regimi che negli anni della terza ondata di democratizzazione secondo Pietro Grilli assumono nove forme:

  1. Tirannie personali
  2. Regimi a partito unico plebiscitario o ideologico
  3. Regimi a partito unico competitivo e a partito egemone
  4. Oligarchie militari
  5. Oligarchie razziali
  6. Regimi teocratici
  7. Sultanismi
  8. Regimi tradizionali
  9. Regimi coloniali o di occupazione

In linea con ciò che è stato finora esposto si precisano l’incidenza di ciascun tipo di regime sugli effetti dei tentativi di democratizzazione in relazione al periodo che precede la cosiddetta “Primavera araba”.

Tirannie personali

Tratto caratteristico delle tirannie personali è la concentrazione del potere nelle mani di un capo con forte connotazione carismatica. Nell’esercizio del suo potere in genere si avvale della collaborazione dei militari o di un partito unico, che restano comunque in stato di subordinazione. L’approdo al potere non è sempre punto di arrivo di uno stesso percorso. Alcune delle tirannie personali investite dalla terza ondata di democratizzazione erano, per così dire, frutto dell’abilità di una personalità forte e carismatica, che in seguito ad eventi particolari, è riuscita ad affermarsi con l’appoggio degli apparati di sicurezza e delle forze armate; in altri casi, invece, come precisa P .Grilli di Cortona, “le tirannie personali sono state il frutto della degenerazione di regimi militari o a partito unico; in questi casi le strutture portanti del regime non sono state capaci di evitarne lo sviluppo). Tuttavia in tali esperienze non è stato ripetuto il fenomeno del caudillismo, che nel corso del secolo XIX e nella prima metà del secolo successivo ha caratterizzato le tirannie personali soprattutto nella America Latina, la degenerazione personalistica è stata evitata ponendo dei limiti all’esercizio del potere. Tirannie personali sono i regimi instaurati in Spagna da Franco, in Portogallo da Salazar, nell’Indonesia da Sukarno, nel Paraguay, nel Suriname e nel Togo. Il dittatore spagnolo Francisco Franco utilizza dal 1936 il titolo Caudillo de España, diritto reale concesso da Dio (por la gracia de Dios), richiamando, come era comune in quel periodo, i titoli di Führer e Duce. In Argentina, invece, Juan Domingo Perón, rifiutò la connotazione di caudillo. La stampa di regime preferì l’utilizzo del termine inglese leader.

La crisi del neopatrimonialismo nell’epoca della terza ondata di democratizzazione
Francisco Franco

Francisco Franco conquista il potere a seguito di una aspra e lunga guerra civile, diventando capo assoluto con una leadership che si protrae per oltre 40 anni. Nel Portogallo il regime è esercitato da un leader civile, Antonio de Oliveira Salazar e poi, dopo la sua morte, da Marcelo Gaetano. Nel corso degli anni ’70, il regime portoghese è messo in crisi dal Movimento das Forças Armadas, un’organizzazione di ufficiali subalterni delle Forze Armate Portoghesi nato all’inizio degli anni settanta e che si pose come obiettivi la pace nelle colonie africane, la decolonizzazione, il cambiamento del sistema economico corporativista, la democratizzazione del paese mediante libere elezioni e l’abolizione degli strumenti di repressione del regime. Il 25 aprile 1974 i militari, senza ricevere pressoché alcuna resistenza, destituirono definitivamente il governo con la nota “rivoluzione dei garofani”. Caetano si dimise e venne trasferito ne ll’isola di Madera dove rimase per alcuni giorni, per essere infine esiliato in Brasile dove morì a Rio de Janeiro per un attacco cardiaco nel 1980. Origine militare hanno i regimi personali che si impongono nel Paraguay e nel Suriname. Nel Togo invece si ha la combinazione di dittatura militare a partito unico che vede la tirannia di un colonnello per quasi 40 anni, dal 1967 al 2005.

Regimi a partito unico plebiscitario o ideologico

Regimi prossimi al totalitarismo delle dittature sono i regimi a partito unico plebiscitario o ideologico, nei quali l’asse portante è costituito dal partito e dalle organizzazioni che lo fiancheggiano. Essi sono legittimati da plebisciti decisi dall’alto e in molti casi dal culto della personalità del capo. Nella tipologia del regime a partito unico vanno inclusi, oltre ai regimi comunisti numerosi regimi africani (Benin ,Burundi, Capo Verde, Ghana, Guinea Bissau, Isole Comore, Kenya, Mozambico, Nicaragua, Niger, Senegal). Elementi comuni a tali regimi sono: la presenza di un unico partito e l’esclusione di ogni forma di pluralismo politico. Risulta però varia l’intensità della presenza del capo carismatico. Capi carismatici che hanno inciso profondamente sul regime, anche perché spesso ne sono stati i fondatori, come, Tito in Jugoslavia, Leopold Sèdar Sengor in Senegal, Mathieu Kèreku nel Benin, Jomo Kenyatta in Kenya e Chang Kai-Shek a Taiwan. Alcuni regimi sono risultati caratterizzati da marcate connotazioni nazionalistiche e anticolonialistiche (Capo Verde, Niger) o da nazionalismo anticomunista a Taiwan.

Regimi a partito unico competitivi

I regimi a partito unico competitivi si differenziano dai regimi a partito unico plebiscitario per una certa tolleranza del pluralismo e della partecipazione. Il partito resta comunque al centro del potere, ma non rinuncia a dialogare e a confrontarsi con altre strutture, in particolare con i militari, con la burocrazia e con le  élite economiche e finanziarie. In sintesi non hanno la fisionomia dei regimi nei quali l’esercizio del potere è tutto concentrato in una sola persona e nella struttura del partito di cui il capo è indiscusso e carismatico. Un esempio tipico, a giudizio di Pietro Grilli di Cortona, è il partito egemone messicano,“che detiene un potere forte, pervasivo e strutturato, presente capillarmente nella società attraverso i canali clientelari, ma in parte dipendente dallo Stato, dal momento che le risorse di patronage, da cui dipende finanziariamente sono controllate ed erogate dal Presidente della Repubblica”.

Effetti di una tale gestione del potere sono il clientelismo e la cooptazione delle opposizioni. Il clientelismo rafforza il legame verticale tra il potere centrale e la popolazione; i clienti, infatti, dipendono dagli esponenti delle classi dominanti e si pongono al loro servizio in cambio di favori e benefici. Da una tale situazione deriva un tipo di solidarietà essenzialmente verticale tra oppressi ed oppressori con limitate possibilità di orientamento in senso orizzontale con altre categorie di oppressi. Le opposizioni sono relativamente tollerate e ciò riduce il rischio delle agitazioni violente e delle aspre contestazioni. Conseguentemente i regimi a partito unico competitivi sono in genere stabili e longevi   spesso dominati da un padre della patria, magari protagonista del processo di decolonizzazione e della conquista dell’indipendenza. In questa categoria dei regimi rientrano: Messico, Polonia, Guyana,Grenada, Malì. Malawi, Sao Tomè e Principe, Tanzania, Zambia e Indonesia.

Le oligarchie militari

Un gruppo piuttosto numeroso di regimi è quello delle oligarchie militari la cui caratteristica principale è certamente l’attribuzione del ruolo di primo piano alla struttura militare, che governa direttamente o indirettamente il Paese con scarsa partecipazione da parte delle classi popolari. Rare e in ogni caso poco consistenti le opposizioni all’interno dell’élite che in prevalenza è rappresentata da militari e da consulenti civili, da tecnici ed esponenti della finanza e del ceto imprenditoriale. L’approdo al potere passa normalmente per la strada del colpo di stato e in qualche caso con lo strumento della lotta interna alle stesse forze armate. I casi di colpi di stato risultano piuttosto frequenti; è stato calcolato nel corso del ‘900, tra il 1947 e 2012 ci sono stati nel mondo 820 colpi di stato.

In genere i militari che assumono il potere non sono legati ad una particolare ideologia: in essi prevalgono alcuni valori quali l’unità, l’ordine, la sicurezza, la lotta alla corruzione, l’interesse nazionale, il patriottismo. Gli obiettivi perseguiti sono in genere circoscritti nel contenuto, nel tempo e coincidono o con l’intento di salvaguardare l’integrità dello Stato dai conflitti interni (ribellioni, secessioni, disordini sociali, corruzione ed illegalità) o con la difesa di interessi corporativi propri o di un qualche gruppo sociale in momenti di gravi crisi economiche. I regimi militari si sono imposti soprattutto nell’America Latina e in Africa. Casi si sono avuti anche in Asia e in Europa. Alcuni autori, in particolare Huntington e Linz e Stepan hanno rilevato la facilità con cui i militari lasciano il potere politico; il loro regime è tendenzialmente di durata inferiore rispetto a quella di altri regimi, senza escludere la possibilità di un ritorno al potere nel caso di nuove minacce alla loro autonomia istituzionale, ritorno del resto, reso facile dal loro monopolio della forza militare.

Oligarchie razziali

Nella tipologia delle oligarchie razziali rientrano i regimi del Sud Africa e della Namibia. La loro caratteristica principale è data dal fatto che la maggioranza della popolazione del paese (la popolazione negra) è totalmente esclusa dal potere, che concentrato nelle mani della minoranza etnica bianca, alla quale è attribuito il livello di partecipazione che è proprio dei regimi democratici. All’emarginazione politica l’oligarchia aggiunge la rigida separazione etnica con la politica dell’apartheid, il cui obiettivo dell’apartheid è quello di isolare i diversi gruppi etnici, lasciando che ognuno di essi si sviluppi in un proprio contesto sociale, economico e territoriale. Nell’ottica dell’isolamento delle etnie si formano i bantustan cioè territori riservati alle popolazioni nere delle diverse etnie. Complessivamente, circa il 13% del territorio del Sudafrica venne riservato alla popolazione bantu. Contemporaneamente, il Sudafrica viene inteso sempre più nettamente come paese esclusivamente di bianchi e i neri che continuano a vivere nelle aree “bianche” (circa il 50%) perdono gradualmente i propri diritti civili. Per esempio, ai neri è vietato di frequentare le scuole e le università dei bianchi; questa misura viene giustificata con l’affermazione che l’istruzione di un nero deve svolgersi completamente nella tribù ed avere le radici nello spirito e nell’essenza stessa della società bantu.

Regimi teocratici

Un caso particolare di regime teocratico è la Repubblica Islamica dell’Afghanistan proclamata 1992. La frammentazione dei Mujaheddin che si sono battuti per la liberazione del loro potere   consente , dal 1996 al 2001, la presa del potere da parte della fazione dei talebani, che applicano al paese una versione estrema della shari’a, punendo con estrema ferocia ogni deviazione dalla loro legge che venne punita con estrema ferocia. Episodio emblematico di tale estremismo e fanatismo religioso è la cattura dell’ultimo presidente della repubblica democratica afgana,che viene catturato presso gli uffici dell’Onu di Kabul, dove si è rifugiato ed è torturato, mutilato e trascinato con una jeep prima di essere giustiziato con un colpo alla testa ed esposto nei pressi del palazzo dell’Onu[. Altro episodio che ha fatto clamore è stata la distruzione dei Buddha di Bamiyan. In tali regimi quindi la religione, oltre a regolare in ogni dettaglio la vita quotidiana dell’individuo, è anche il necessario presupposto della attività politica e della funzione normativa dello Stato, in cui la massima autorità religiosa predomina anche sulle forze armate, sull’amministrazione della giustizia, sulla gestione delle funzioni amministrative e politiche.

Regimi sultanistici

I regimi sultanistici si caratterizzano come sistemi di tipo patrimoniale con un apparato amministrativo e militare puramente personale del detentore del potere, che esercita il potere sul territorio come fosse una sua proprietà, che viene poi trasmessa ai figli. La famiglia costituisce quindi il canale principale di trasmissione del potere. L’origine di tali regimi è varia. Accade infatti che regimi militari, tradizionali o anche comunisti perdano col tempo il loro carattere originario, trasformandosi in Stati nei quali il potere si assomma nelle mani di un dittatore e della sua famiglia con una gestione di tipo patrimonialistico e clientelare che cancella i confini tra la proprietà privata e quella pubblica. L’ideologia che ha dato origine al regime pertanto si attenua e viene progressivamente sostituita dal culto della personalità del capo. E’ questo, ad esempio, il caso della Corea del Nord, della Repubblica Dominicana di Trujillo, di Duvalier ad Haiti, di Bokassa nella Repubblica Centroafricana, di Marcos nelle Filippine.

Monarchie tradizionali con forte accentramento di potere

Ai regimi sultanistici Piero Grilli di Cortona assimila le monarchie tradizionali del Nepal e del Samoa, nelle quali una struttura di potere tradizionale si è col tempo trasformata in potere familiare trasmesso per vie ereditarie.

Regimi coloniali o di occupazione

Nel Botswana e nel Timor Est il processo di democratizzazione prende avvio in coincidenza con l’acquisto dell’indipendenza e della sovranità nazionale. Il Botswana nel 1956 diviene indipendente come stato membro del Commonwealth. A differenza di quanto accade nel vicino Sud Africa, nel Botswana i rapporti fra bianchi e bantu sono buoni, tra l’altro, la stessa bandiera rappresenta questa convivenza pacifica con due strisce una bianca e una nera accostate all’azzurro dell’acqua. Primo capo di Stato è Sir Seretse Khama, già re della tribù tswana dei Bangwato e capo del Partito Democratico del Botswana. Khama regna a vita insieme alla moglie Ruth Khama, che è una bianca di origine anglosassone. L’organizzazione dello stato si basa sul modello britannico, con un parlamento bicamerale , suddiviso in “Camera dei Capi” (non elettiva e riservata ai capi delle tribù e ai rappresentanti dei gruppi etnici del paese) e “Camera dei Comuni” (elettiva e riservata a esponenti di partiti politici riconosciuti dallo stato). L’esecutivo è costituito da un governo forte guidato dal presidente, che ha anche il potere di designare il proprio successore. Timor Est è un Paese del sud-est asiatico, composto dalla metà orientale dell’isola di Timor (l’altra metà fa parte dell’Indonesia). Il Paese è stato una colonia del Portogallo fino al 1975, quando l ‘indipendenza fu dichiarata unilateralmente il 28 novembre dello stesso anno a opera di fazioni filo-comuniste. Il timore di avere un governo comunista indipendente all’interno dell’arcipelago indonesiano nelle fasi più concitate della guerra fredda portò l’Indonesia a invadere Timor Est su vasta scala, non senza il supporto dei governi occidentali, nel dicembre 1975 e a dichiararlo come una colonia propria col nome di Timor Timur. Nel 1999 gli abitanti di Timor Est hanno optato per l’indipendenza in un referendum organizzato dalle Nazioni Unite, approvato a larga maggioranza della popolazione. Il capo dello Stato è il Presidente della Repubblica , che viene eletto con voto popolare ogni cinque anni e svolge un ruolo soprattutto simbolico, sebbene in certi casi egli disponga del diritto di veto. In seguito alle elezioni parlamentari, il Presidente nomina il Primo ministro, solitamente il leader del partito vincente o della coalizione maggioritaria, il quale diviene così il capo del governo. Il parlamento è eletto con voto popolare ogni cinque anni. Il numero dei seggi in Parlamento può variare da un minimo di 52 ad un massimo di 65; la costituzione è stata modellata sul modello di quella portoghese.

articolo di

Lucio Altina

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