Privacy Policy Detestate la stronza – un racconto di Sara Giudice - The Serendipity Periodical

Detestate la stronza – un racconto di Sara Giudice

C’è una ragazza che aspetta davanti al cancello di casa. Casa sua è una villetta in campagna, isolata. Molto fuori città. La ragazza indossa una maglietta nera, dei pantaloni neri, delle scarpe nere. Una giacca di jeans e un foulard colorato. Arancione, azzurro, verde chiaro. Cammina avanti e indietro perché è nervosa e non sa se riconoscerà la macchina quando arriverà. Non ha mai visto la sua macchina, quindi aspetta di vedere dei fari qualsiasi.

I fari arrivano. La macchina però va dritta, perché lui non ha mai visto la ragazza. O perlomeno, non l’ha vista negli ultimi cinque anni. Tira dritto perché non sa nemmeno qual è il civico giusto. Torna indietro perché lei lo chiama e al telefono gli dice Torna indietro, ero quella che aspettava davanti al cancello rosso! Lui risponde Non ho visto nessun cancello rosso. La strada è buia perché di tutti i lampioni che ci sono sul bordo della strada, ce n’è solo uno acceso. Il resto della via è illuminato solo dalle luci dei cortili interni.

 

Lui si sporge verso lo sportello del passeggero e lo apre. Lei entra in macchina senza sapere cosa dire. Lo guarda, sorride. La macchina è ferma in mezzo alla strada, che non è trafficata. Lui sorride.

Ciao.

Ciao.

Dove andiamo?

C’è un leggero sentore di imbarazzo. Si erano scambiati alcuni messaggi per mettersi d’accordo e vedersi una sera, ci andiamo a bere una cosa, okay, dai. Lei aveva ritrovato il suo numero per caso, gli aveva scritto per una motivazione che avrebbe compreso una quindicina di anni dopo. Avevano guidato chiacchierando del più e del meno fino ad arrivare in un locale che lui conosceva e lei no. Parcheggiano davanti al locale e lui fa una battuta. Lei ride.

Nel locale c’è molta gente e questo mette lei a disagio. A lui non importa. Si siedono uno davanti all’altra e ordinano una birra e una Coca cola.

Guarda che sono io che guido.

No, è che proprio non mi piace l’alcol.

La birra non è alcol.

Allora diciamo che sono astemia.

Lui ride, la guarda. Dice che non ricordava che i suoi occhi fossero così belli. Dice qualcosa riguardo al fatto che anche la sua ragazza ha gli occhi azzurri, ma lei non lo ascolta più e pensa solo al complimento che gli è stato appena fatto. La birra e la Coca cola arrivano e sono ghiacciate e sgocciolano condensa dal fondo. Il bicchiere della Coca cola è appiccicoso e questo la disturba. Prende un fazzoletto per pulirsi le mani, lui comincia a bere la sua birra e guarda fuori dalla finestra.

Immagino di doverti delle scuse – abbassa lo sguardo – Sono stata una stronza.

Sì, in effetti sì.

Lei sta zitta.

Comunque ora non ha più importanza. Sono stato male per un po’, adesso basta. Non fa niente – beve un sorso della birra – È strano vederti dopo tanto tempo. Sei cambiata.

Stavo per dire la stessa cosa di te – Sorride. Costruisce castelli in aria – Abbiamo un sacco di anni da recuperare. Che hai combinato dall’ultima volta?

Lui racconta degli anni del liceo, di quando la sua ragazza era la sua compagna di banco, di cose poco interessanti a cui però lei si sforza di interessarsi. C’è qualcosa nell’ambiente del locale che continua a metterla a disagio, ma lui la calma. Si sta sforzando di esserlo, calma. Continua a tenere entrambe le mani sul bicchiere di Coca cola, si trattiene dal pulirsi di nuovo le mani con il fazzoletto per non sembrare troppo strana.

Quello che li ha portati a quel momento: lei ha trovato per caso il suo numero salvato in una vecchia scheda SIM.

 

Erano stati insieme per poco tempo fra le scuole medie e il liceo. All’epoca lui aveva i capelli più corti, la pancetta, l’acne, pochi peli sul mento. L’unica volta in cui aveva tentato di baciarla lei aveva girato la testa all’ultimo secondo e lui aveva strofinato malamente la bocca sulla sua guancia. Poi lei aveva cominciato a sentirsi di troppo e lo aveva lasciato via SMS, con rabbia, come se lui fosse colpevole di qualcosa.

Lei racconta degli anni del liceo e del suo ex, del lavoro e della maturità. Mentre parla pensa a quanto poco interessante è quella conversazione. Il locale è pieno di gente che va e viene, ma nessuno ascolta quello che i due si dicono. Si fanno i cazzi loro.

Se ne vanno dal locale e ritornano in macchina. La ragazza pensa che rimarranno lì a chiacchierare per un po’, quindi quando lui mette in moto ha paura che voglia riaccompagnarla subito a casa. Lei dice Non voglio tornare a casa e lui dice Troviamo un posto tranquillo. Poi dice S o N? Lei non capisce. Chiede Che vuol dire? Sorride. Lui fa manovra per uscire dal parcheggio illuminato da un unico lampione al centro e ripete S o N? Lei ci pensa – fa finta di pensarci perché non sa fra cosa sta scegliendo, quindi non può prendere una scelta consapevole. Alla fine sceglie S, poi chiede cosa significa. Lui dice Pessima scelta, la guida sportiva ed esce dal parcheggio a tutta velocità. Lei fa finta di essere spaventata. Si autoconvince di una cosa che non esiste per gonfiare l’ego della persona che guida e per cercare disperatamente di costruire le basi per una relazione che non ha motivo di esistere.

La verità è che, quando ha ritrovato il suo numero di telefono, lei ha deciso che rivedere il suo ex fidanzatino era una buona idea. Per puro senso di colpa, in un primo momento, e poi per pura voglia di cazzo. Sola in camera sua, si era autoconvinta di provare ancora qualcosa per una persona di cui non sapeva ormai niente. Nel breve periodo in cui si erano frequentati da adolescenti, i due avevano condiviso ben poco. Lei non era mai riuscita a immaginarsi nuda davanti a lui.

Squallido.

Squallida è la scelta di una giovane donna che in camera sua – la camera in cui aveva scoperto la masturbazione, un anno dopo la chiusura di quella piccola relazione – decide di intromettersi nella vita di un ragazzo che non sa cosa vuole dalla vita e cerca di emanciparsi da una famiglia di persone di successo in cui lui è sempre stata la pecora nera. Sogna di studiare all’università in un’altra città anche se i suoi genitori gli ripetono tutti i giorni che non è in grado di farlo. Vogliono che rimanga con loro per poter essere tutti migliori di lui.

La macchina si ferma in un altro parcheggio, vuoto. I due non smettono di parlare di nulla, lei continua a costruire castelli in aria. Si raccontano a vicenda delle loro prime volte.

La sua-di-lui è stata dolorosa.

La sua-di-lei è stata dolorosa.

 

Lei dice che quando si stavano frequentando si era resa conto di quanto la famiglia di lui non la sopportasse nonostante la loro relazione non avesse nessun presupposto di esistere. Dice Tua madre pensava che fossi l’ultima stronza sulla faccia della Terra perché ero la figlia della donna delle pulizie. Lui dice Non è vero! Lei dice Non negare l’evidenza. Ridacchia. Lui è imbarazzato perché vorrebbe negare l’evidenza ma non può farlo. Dice Può essere. Lei dice Certo, mica dico cazzate. Poi dice anche Forse è anche per questo che ti ho lasciato. Aggiunge E poi perché mi sono cacata in mano. La ragazza si sente un po’ in colpa, pensa che si sta giustificando prendendo a caso dalla cesta dei suoi complessi le cose che possono sembrare più realistiche.

Il resto della serata prosegue, fastidiosamente noiosa. Rimangono due, tre ore in macchina a chiacchierare. Si sono messi comodi sui sedili reclinati e hanno buttato fuori dalla gola parole casuali. Lei è convinta che la tensione sessuale sia reale senza che lui gli abbia mai dato segnali concreti. Ha parlato spesso della sua ragazza. L’ha chiamata angelo mio, come se fosse presente lì con loro.

La ragazza di lui era presente lì con loro, ma la verità è che lei la ignorava nascondendola sotto le sue aspettative. Era seduta sui sedili posteriori, era nel cellulare di lui, era nel punto del cervello di lei in cui venivano tenute tutte le cose che non avrebbero dovuto esistere e che le mettevano i bastoni fra le ruote.

Mentre lui la riaccompagna a casa, lei dice Non ho voglia di tornare a casa e lui dice Neanche io. Poi la lascia davanti al cancello di casa e siamo di nuovo sulla soglia di casa sua, lei si è appena messa le scarpe e ha cominciato a scendere le scalette per arrivare in giardino e aprire il cancello che separa il cortile e la strada.

 

 

Sara Giudice

 

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