Riccardo Capoferro, un’intervista per leggere tra le righe del fumetto
Riccardo Capoferro, professore di letteratura inglese presso il Dipartimento di Studi Europei e Americani de La Sapienza, ha partecipato alla giornata dedicata a Hugo Pratt organizzata il 18 giugno dalla redazione di Serendipity arricchendola con un intervento dedicato alla letteratura inglese e alla sua influenza su Pratt. Ha lavorato per molti anni sulla cultura inglese settecentesca e più di recente sull’opera e l’influenza di Joseph Conrad.
Da dove nasce la tua passione per il fumetto? E’ stata importante per la tua carriera universitaria, per quella da studente e successivamente per quella da professore?
La mia passione per il fumetto nasce, come spesso avviene, nell’infanzia, grazie ai fumetti che trovavo per caso intorno a me, tra i quali quelli di Hugo Pratt. La mia passione per Pratt fu accesa, in particolare, da un vecchio volume Mondadori intitolato ”Baci e spari”, in cui c’erano delle storie di Corto Maltese, che trovai per caso nello studio di mio padre. Lessi e rilessi quelle storie in continuazione, e ne ricavai l’idea di Hugo Pratt come di un autore di fumetti colto, dato che faceva molti riferimenti alla letteratura, in particolare a quella inglese. Si può dire che in questo modo Pratt mi abbia spinto, già in giovane età, verso la letteratura inglese. Di questo sono sempre stato consapevole, anche all’università; nel corso degli anni, scoprendo nuova letteratura, mi rendevo conto che ne avevo trovato già delle tracce in Pratt. E’ stato una fonte di stimoli duraturi, a cui poi sono sempre tornato.
Nel canone letterario spesso il fumetto e il romanzo d’avventura vengono considerati di serie “B”. Perché succede questo?
Il fumetto e il romanzo d’avventura sono nati come generi di intrattenimento popolare, e hanno avuto ampia diffusione, molto spesso attraverso una vera e propria industria, che non badava troppo alla qualità. All’interno di questo sistema produttivo, però, sono nati dei testi di narrativa ”classica” e di narrativa a fumetti di grande complessità e di grande ricchezza; questi testi sono spesso stati confusi con la ”semplice” letteratura di consumo per ragazzi: per esempio, Stevenson è stato per anni considerato un autore minore, ma ha rielaborato e dato grande dignità al romanzo d’avventura. Corrispondeva con Henry James, e il suo stile era tra i preferiti di Borges.
Lo stesso Pratt non aveva la minima intenzione di scrivere un qualcosa che da lì in poi sarebbe stato classificato come uno dei punti d’origine del fumetto d’autore, si muoveva nell’alveo dei fumetti. Lo stesso Milton Caniff, che fu uno dei modelli di Pratt, era un autore di fumetti ad ampia circolazione. Allo stesso tempo però i suoi fumetti hanno una dignità estetica. Purtroppo, sul fumetto e sul romanzo d’avventura pesano ancora dei pregiudizi, specialmente tra chi ha una concezione della cultura elitaria, esclusiva e cieca.
Hugo Pratt è uno tra i fumettisti italiani più noti; cosa ti ha maggiormente incuriosito della sua opera?
La curiosità per Hugo Pratt è nata principalmente in modo casuale, come già detto. L’ho scoperto nell’infanzia e negli anni ho letto – e collezionato – tutti i suoi fumetti. Ad alimentare la mia passione per Pratt sono stati il suo lirismo, la sua ironia, il suo ritmo narrativo, elementi che fanno di lui un grande artista e un grande narratore. La sua narrativa suscita stimoli e curiosità, e spinge a molte altre letture.
L’opera di Pratt è legata alla letteratura coloniale e al romanzo d’avventura inglese: i personaggi richiamano le opere di R. L. Stevenson e J. Conrad. Allo stesso tempo però gli stereotipi sono sovvertiti. In che modo?
Attraverso soprattutto ironia e parodia, Pratt stravolge gli stereotipi del romanzo coloniale nato negli anni di Stevenson e Conrad (che avevano comunque sviluppato un sistema di valori differente, lontano dall’ideologia imperialista), e prodotto, attraverso vari media, fino agli anni ’60 del Novecento. Pratt è consapevole di scrivere e disegnare nell’epoca della decolonizzazione. Aveva fatto, del resto, un’esperienza coloniale insolita. Era cresciuto nel Corno d’Africa, nelle colonie italiane, entrando a stretto contatto con i locali ed imparando a rispettarne la cultura.
Proprio le sue esperienze e il grande scetticismo verso i nazionalismi lo hanno portato ad adottare uno sguardo parodico ed ironico; penso alla scena della ”Ballata del Mare Salato”, in cui Cain si ritrova in una caverna con il maori Tarao. Cain comincia a fantasticare, pensando di essere Robinson Crusoe, mentre Tarao è Venerdì; è lo stesso Tarao però a riportare Cain alla realtà, a mandare in frantumi il suo sogno. Pratt è consapevole di usare stereotipi ereditati, ma non ha nessuna voglia di riprodurli e li riempie di ironia, di scetticismo e della sua visione libertaria, allergica alla retorica nazionalista.
Quale contributo ha dato Pratt alla cultura italiana, attraverso le avventura grafiche di Corto Maltese?
Il suo contributo è importantissimo. La cultura italiana, a differenza ad esempio della cultura inglese, non ha una vera tradizione del romanzo d’avventura, eccezion fatta per Salgari. La cultura italiana più recente ha, certo, un filone di scrittura post-coloniale, non così sviluppato come quello nato nei paesi anglofoni, proprio per via della differenza dei due rispettivi imperi coloniali. Pratt è un vero e proprio scrittore post-coloniale italiano, e questo sarebbe sufficiente per dedicargli un capitolo nella storia della narrativa. Tanto più perché le sue narrazioni a fumetti sono opere d’arte, riconosciute ed istituzionalizzate come tali, se non in Italia, senz’altro in Francia. In Francia, come in Giappone, c’è del resto una ricca cultura del fumetto. Pratt meriterebbe di essere riconosciuto anche da noi come grande artista del Novecento italiano.
Qual è il tuo punto vista sulla giornata “Gli Orizzonti aperti di Hugo Pratt”?
Sono molto felice della giornata e della sua riuscita, e ringrazio ancora tutta la redazione di The Serendipity Periodical. Non mi aspettavo un tale successo, e sono nati legami umani ed intellettuali con tutte le persone coinvolte. Credo che l’evento abbia lasciato il segno, e spero che possa ispirarne molti altri in futuro.
Intervista di
Pierpaolo Prevete