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La Pedagogia degli oppressi

La Pedagogia degli oppressi

L’alfabetizzazione come strumento di emancipazione ne La Pedagogia degli oppressi

In tutto il mondo esistono situazioni di marginalità, una delle conseguenze dirette di questa situazione di ingiustizia sociale è legata alla sfera culturale. L’accesso a conoscenze di base come “leggere, scrivere e far di conto” è precluso a persone che vivono situazioni estreme ma statisticamente comuni. La marginalità è dovuta spesso anche a condizioni di sottomissione a causa di regimi governativi molto oppressivi che vogliono mantenere lo status quo anche tramite l’esclusione degli oppressi dalla sfera culturale. L’alfabetizzazione diventa quindi uno strumento fondamentale per mancipare gli oppressi dagli oppressori; queste riflessioni hanno dato vita a nuove forme di discipline come la pedagogia critica che mira a diminuire il numero di oppressi e anche di oppressori.

Un’opera per oppressi ed oppressori

Paulo Freire, originario del Brasile, scrive La pedagogia degli oppressi tra il 1967 ed il 1968 in Cile. In quel periodo si trova in esilio a causa dei suoi progetti educativi considerati sovversivi dal governo brasiliano in quanto favoriscono la classe marginale. Attraverso la sua opera educativa mira ad apportare una coscienza critica autonoma ai discenti, ma anche agli educatori che a loro volta imparano insegnando. Fino a quel tempo l’educazione è considerata depositaria, in quanto mira a riempire passivamente l’allievo di nozioni. Questo tipo di educazione ha creato un gruppo di persone della società che fungono da oppressori e che agiscono su intere masse di oppressi per dominarli. Attraverso quest’opera si introduce l’educazione dialogica che mira allo sviluppo di una coscienza critica, db ella libertà e della presa di coscienza dell’individuo riguardo la sua condizione.

Paulo Feire – Credits www.rivistaeco.it

L’educazione dialogica

L’educazione dialogica o problematizzante si fonda sul dialogo, la parola, l’azione e la riflessione. La parola è un diritto di tutti, ma senza azione è vuota. Quest’ultima invece da sola è puro attivismo che rende impossibile il dialogo. Attraverso il dialogo l’oppresso può acquisire coscienza della sua situazione, vederla come un problema e risolverla con la riflessione. Questo procedimento lo porta ad acquisire una coscienza critica, ad essere autonomo e libero. L’incontro di uomini che dialogano è un processo creativo che libera gli oppressi dalle imposizioni degli oppressori. Gli oppressi non avendo mai agito senza imposizioni hanno paura della libertà, per questo Freire propone la formazione di classi gestite da un leadership che educa alla presa di coscienza, all’ascolto, all’autonomia e di conseguenza alla libertà.

Il Metodo de “La Pedagogia degli Oppressi”

L’opera illustra il Metodo Freire per l’alfabetizzazione delle masse degli oppressi attraverso cinque azioni. La prima di queste azioni è la ricerca dei “temi significativi” della vita dei discenti che porta a galla le “parole generatrici”. Segue la
sillabazione delle “parole generatrici” per approfondirne il significato. Successivamente si passa alla creazione di nuove parole dalle sillabe ricavate. La quarta azione è invece denominata coscientizazzione delle masse attraverso la discussione delle “parole generatrici”. Infine la problematizzazione della propria situazione per superare la visione acritica del mondo. Il metodo permette la formazione di una società sana a partire da una rivoluzione culturale. Quest’ultima prende forma grazie ad un gesto d’amore della leadership che guida le masse di oppressi alla liberazione e alla presa di coscienza, rinunciando a far parte della classe dominante.

L’autore

Paulo Freire nasce a Recife il 19 settembre 1921 ed è ricordato come il fautore del Metodo per la liberazione delle masse degli oppressi attraverso la pedagogia critica. Vive un periodo di fame e povertà a causa della Grande depressione del 1929. Studia legge, filosofia e psicologia del linguaggio. Sposa Elza Maia Costa de Oliveira nel 1944 e poco dopo viene nominato direttore del Dipartimento di Educazione e Cultura del Servizio Sociale. Grazie alla sua “teologia della liberazione” ottiene numerosi riconoscimenti come il premio Unesco per la pace nel 1986. Muore a San Paolo il 2 maggio 1997.

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