Privacy Policy Diversità culturale ed etnocentrismo nei Gulliver’s Travels - The Serendipity Periodical
Diversità culturale ed etnocentrismo nei Gulliver’s Travels

Diversità culturale ed etnocentrismo nei Gulliver’s Travels

L’effetto del pregiudizio culturale nell’incontro-scontro con società diverse. Una riflessione a partire dalla satira di Jonathan Swift.

1726. Viene pubblicata a Londra, sotto pseudonimo, la prima edizione dei Gulliver’s Travels. Nell’immaginario comune, quest’opera di Jonathan Swift viene spesso erroneamente associata ad altri celebri romanzi d’avventura, genere molto in voga all’epoca. O addirittura, ancora più erroneamente, per i suoi tratti più fantasiosi, è stata spesso tramandata come un classico della letteratura per bambini e ragazzi. Si tratta, invece, di una parodia della letteratura di viaggio e di una complessa e pungente satira dell’Inghilterra contemporanea.

Frontespizio della prima edizione dei Gulliver’s Travels (1726). Credits: Wikipedia.it

Gulliver’s Travels e pregiudizio etnico

Il protagonista, Lemuel Gulliver, è un uomo di mezza età, di classe borghese, appassionato di viaggi. È lui stesso a presentarsi, all’inizio del libro, come un uomo moderno, pragmatico, forte dei suoi studi accademici e fiducioso nella nuova scienza empirica. Il romanzo narra i suoi incontri, avvenuti dopo naufragi in terre esotiche e inesplorate, con popoli assolutamente fuori dal comune. Da qui in poi, la narrazione è colma di pregiudizio e arroganza. Da parte di Gulliver, che si approccia a ogni nuova cultura applicando il filtro del proprio occhio britannico, civilizzato e progressista, convinto di appartenere ad una società più avanzata e moderna, sotto qualsiasi punto di vista. Ma anche da parte dei personaggi che incontra, che finiscono per cacciarlo ogni volta dalla propria terra, convinti invece della propria superiorità culturale.

Quando lo straniero sei tu: una questione di punti di vista

Tutto, nei Gulliver’s Travels, è una questione di punti di vista. Questo si manifesta chiaramente nell’uso stravolgente delle proporzioni nelle prime due sezioni del romanzo. Arrivato alla corte dei celeberrimi lillipuziani, il britannico – che fino a quel momento aveva applicato al resto del mondo la propria misura – risulta un anormale, abnorme alieno. Dal basso dei loro 15 centimetri di statura e dall’alto del loro pregiudizio etnico, i meschini e bellicosi abitanti di Lilliput lo trattano con sufficienza, lo legano e arrivano addirittura a volerlo sfruttare come arma contro i propri nemici.

Illustrazione a colori di un’edizione ottocentesca del libro. Credits: The Guardian

E cosa succede quando il suddetto britannico approda invece nella terra dei giganti di Brobdingnag? È di nuovo lo straniero, il minuscolo fenomeno da baraccone, esibito da quelli che lui – schiavo stavolta del proprio pregiudizio – ritiene dei barbari ignoranti. Dopo essersi dilungato in lodi sull’incontestabile superiorità dell’organizzazione politica e sociale inglese, è costretto però a ricredersi di fronte alla raffinatezza, alla curiosità e all’intelligenza del gigantesco re. È Gulliver, infatti, l’essere disumano che offre la formula della polvere da sparo come soluzione per consolidare il potere di Brobdingnag, mentre il gigante è il sovrano illuminato che disprezza la violenza e sostiene l’insensatezza della guerra.

Il narcisismo della razionalità nei Gulliver’s Travels

Osservare le cose da un’altra prospettiva, dunque, è il prezioso insegnamento racchiuso nelle prime due avventure dei Gulliver’s Travels. Ma Swift non si limita solo a giocare con assurde proporzioni. Con i successivi viaggi a Laputa e nella terra degli Houyhnhnm, ci offre altri spunti di riflessione sui temi dell’etnocentrismo e del colonialismo. L’isola volante di Laputa ha ideato un sistema magnetico grazie al quale può fluttuare sopra il regno di Balnibarbi. In virtù della propria superiorità tecnologica, lo domina e lo priva delle sue risorse – a partire dalla luce del sole –, incurante delle condizioni della popolazione sottomessa. Gli Houyhnhnms, invece, sono cavalli parlanti che, facendo leva sulla purezza della propria natura totalmente razionale, disprezzano ogni altra creatura, bollandola come selvaggia. Anche il civilizzato britannico, ai loro occhi, è un animale dominato dai propri istinti, che usa il poco di razionalità che ha in maniera perversa e feroce.

Gulliver e gli Houyhnhnms. Credits: Pinterest

Il facile condizionamento del contesto culturale

Nonostante Swift bersagli strutture, avvenimenti e comportamenti topici, specifici del suo tempo e del suo paese, ci accorgiamo presto che la sua satira ha un valore universale. Infatti, anche se in modi e a livelli diversi, siamo tutti condizionati dai nostri pregiudizi culturali. Il nostro contesto di partenza, inevitabilmente, plasma la nostra visione del mondo e ci abitua a determinate tradizioni e convenzioni sociali. Come uscire da questo condizionamento? Swift direbbe che è impossibile. Secondo lui, l’uomo non si rende neanche conto dei pregiudizi ai quali è sottoposto e che applica inconsciamente. Come acquisirne, dunque, consapevolezza? La soluzione è già nell’origine del dilemma: nell’incontro-scontro con culture diverse. Questo confronto è l’unica cosa che può rivelare i limiti e le contraddizioni del pregiudizio, e insegnare che, spesso, quella che pare una differenza insormontabile risulta invece da un’incomprensione del modo di pensare di un’altra cultura.

Il valore della diversità culturale

Gulliver è cacciato da ogni paese in quanto straniero. Una cultura veramente cosmopolita sa trattare questa diversità come un valore aggiunto, come un arricchimento per una società che abbia voglia di migliorarsi. Ma non è neanche rinunciando alla propria specifica identità culturale che si realizzano cosmopolitismo e interculturalità. C’è bisogno, anzi, che gli individui sappiano identificarsi con dei valori e delle tradizioni, che servano loro da radici e da punti di partenza per orientarsi. L’identità culturale, in fondo, è ciò che ci permette di avere qualcosa da scambiare nell’incontro con l’altro. Interculturalità è come andare in Erasmus e ribadire incessantemente che sei italiano e la pasta è la cosa più bella del mondo, ma avere allo stesso tempo la curiosità e l’entusiasmo di imparare parolacce in tedesco e voler importare il tè delle cinque a casa al tuo ritorno.

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