Privacy Policy James e il capitalismo: un altro giro di vite - The Serendipity Periodical

James e il capitalismo: un altro giro di vite

La produzione letteraria americana ci ha da sempre abituato a cercare di interpretare le opere dei suoi più grandi esponenti in una chiave nazionalista/critica

Ciò rispecchiava spesso lo stato d’animo di scrittori che pur sentendosi parte di una cultura all’avanguardia e già moderna sin dai suoi albori, non mascheravano le loro perplessità e delusioni riguardanti il ruolo che gli Stati Uniti d’America si avviavano a ricoprire nello scenario internazionale e, più specificatamente, nella cultura occidentale.

Gli Stati Uniti si sono da sempre posti, in parte legittimamente ed in parte con pretesti decisamente più discutibili, come ultimo baluardo della civiltà occidentale, cercando di distaccarsi dal modello europeo, quando in realtà ne stavano riprendendo l’assetto principale seppur in nuova veste.

Risulta facile comprendere l’impeto critico che stava alla base dei grandi romanzi americani dell’Ottocento, che davano e danno voce a questo disagio esistenziale vissuto da molti autori che veniva dettato soprattutto dal paradosso che si pone a fondamento della natura del “Nuovo Mondo” (si considerino autori come Hawthorne, Melville o Cooper), ma cosa ne fa un lettore di un testo decisamente più criptico come The Turn of the Screw di Henry James? Il racconto di James viene pubblicato a fine secolo, quando il progresso ha ormai modificato l’assetto sociale non solo degli Stati Uniti, ma anche di gran parte dell’Europa, dove tra l’altro l’autore si trasferisce. James e il capitalismo: un altro giro di vite

Probabilmente la decisione di James di trasferirsi in Inghilterra è sintomo di un’adesione ai principi americani che sta andando pian piano corrodendosi, ma è interessante perché fornisce una sorta di secondo punto di vista sulla società moderna all’autore, che inevitabilmente lo riversa nelle sue opere.

Dunque si potrebbe affermare che una prima differenza che caratterizza The Turn of the Screw rispetto ai romanzi e racconti degli autori americani dell’Ottocento è data proprio da un carattere più globale, che estende l’analisi sociale facendole assumere un aspetto decisamente più generale. James, rinunciando al tema tipicamente americano, ci fornisce un ritratto della società moderna così come si avviava ad essere in tutti i paesi sviluppati (o industriali se vogliamo) dell’epoca, grazie all’avvento della Seconda Rivoluzione Industriale.

Nonostante il racconto sembri facilmente classificabile come ghost story,

esso ha fornito nel corso degli anni numerosi spunti per un’analisi critica da un punto di vista decisamente più “terreno”. In questa ottica la critica Marxista offre sicuramente delle analisi molto interessanti e per certi aspetti inaspettate. Prima di passare a riflessioni più specifiche però è interessante soffermarsi sul setting del racconto; infatti, la grandezza di James nel fotografare la società capitalista risiede nella sua capacità di fornirne un quadro in cui compaiono pochi personaggi, che creano però una rete di legami che ricalca il modello della divisone in classi sociali, il cui divario diviene enorme nei decenni in cui l’autore scrive. Per comprendere al meglio questa similitudine, che nel racconto si trasforma sostanzialmente in allegoria, risulta sicuramente utile una panoramica sul capitalismo ed i suoi meccanismi.

Il sistema capitalista, come messo in luce da Marx

è un sistema che prevede sostanzialmente l’arricchimento di un relativamente piccolo numero di persone a scapito della maggioranza della popolazione. Per ridurre il concetto ai suoi minimi termini potremmo dire che il fine ultimo e risultato del capitalismo sia produrre ricchezza creando povertà. Tuttavia, la genialità (privando questa parola di ogni sua possibile connotazione positiva) del sistema capitalista, sta nella sua capacità di mantenere l’assetto sociale fermo, immobile, impedendo che i ruoli delle persone che hanno soldi e potere non si inverta mai con quello di coloro che invece sono sfruttati ed in un certo senso producono ricchezza per coloro che li sfruttano.

Se vogliamo però c’è una considerazione ancora più assurda da fare, ovvero il fatto che questo ordine delle cose paradossalmente non viene mantenuto solo da coloro che hanno interesse nel mantenerlo, ma anche da coloro che lo “subiscono”; infatti lo strumento principale del Capitalismo è l’omologazione, che viene raggiunta infrangendo leggi di mercato e perseguendo la competitività che porta allo sfruttamento. Ma coloro che si omologano al sistema sono fondamentalmente le persone che non ne guadagnano nulla, ovvero gran parte della popolazione, perché questo è un sistema che rende schiavi. Di conseguenza potremmo dire che tutti ormai accettiamo questo sistema in una maggiore o minore misura.

È questo il primo punto di contatto tra la critica Marxista ed il racconto di James

Bly, così come la società capitalista, è un ambiente chiuso ed immobile, senza possibilità di cambiamento, che sembra quasi sfuggire al passare del tempo per preservare un ordine naturale che non deve ne probabilmente può essere sconvolto da cambiamenti. Senza dubbio la località rappresentata da James è in primo luogo uno specchio della società vittoriana, ma l’intera ambientazione può essere interpretata come una riproduzione dell’immobilità sociale tipica del sistema capitalista. Anche in questo caso infatti, i personaggi che popolano tale cornice possono essere ritenuti i maggiori artefici di questa immobilità che grava su loro stessi. Gli unici personaggi che riescono ad evadere (seppur in modi diversi) da questa stasi sono proprio coloro che per la condizione in cui si trovano non possono apportare un cambiamento concreto.

Per questo motivo il racconto si conclude con un finale che non è un finale

Come sappiamo la conclusione del racconto non fornisce alcuna risposta alle domande ad alle speculazioni che possono nascere nella mente del lettore, ma anzi contribuisce soltanto a crearne di altre. Sembra quasi che l’autore, per mezzo dei suoi personaggi, si arrenda ad una realtà che pur non sentendo propria, si rende conto di dover necessariamente accettare. Secondo una tale interpretazione dunque, l’idea di un finale che deve essere in qualche modo svelato e riempito dal lettore assume un significato ancora più autentico; James infatti sembra presentare la realtà dei fatti per poi passare il testimone ai propri lettori, a cui chiede di portare avanti l’analisi che aveva iniziato.

Per tornare invece ai personaggi, e alla loro natura, possiamo suddividerli sostanzialmente in due categorie

La prima è quella dei personaggi “reali”, ovvero la Governess, i bambini e Mrs. Grose. La seconda invece è rappresentata da coloro che vengono presentati come fantasmi, ovvero Quint e Miss Jessel. In effetti, in una visione Marxista del racconto, i secondi, che sembrano inizialmente rappresentare i villains, sono gli unici che riescono, o meglio sono riusciti, a contrastare l’ordine sociale imposto dall’alto, poiché nella società vittoriana non era concepibile un rapporto tra persone di rango differente.

Allo stesso tempo però, nel racconto, essi sono già defunti, e di loro non resta che fantasmi che non possono intervenire sulla realtà. Dall’altro lato ci sono invece i personaggi che al momento narrato sono in vita, e lasciando per un secondo da parte i bambini, che si potrebbe dire occupino un ruolo intermedio in apparenza, la Governess e Mrs. Grose rappresentano gli antagonisti dei due fantasmi, in quanto sembrano non riuscire a sfuggire alle etichette e standard che vengono loro imposti.

La prima perché pur aspirando alla condizione dei due fantasmi rimane prigioniera di una moralità che non è poi neanche sua; la seconda perché non è in grado di sfuggire a pregiudizi dettati dai tempi. Si potrebbe dire che questi due personaggi rappresentino l’immobilità che condiziona l’intera Bly, avendo delle ripercussioni anche su Miles e Flora. Come fa notare Bruce Robbins, Quint e Jessel sono fantasmi proprio come coloro che avrebbero il coraggio di stravolgere l’ordine sociale, ma le cui iniziative vengono soffocate sul nascere in epoca moderna.

A questo punto verrebbe da chiedersi se esista all’interno del racconto una vera forza positiva,

in grado di contrastare questa inerzia che sembra inesorabile, e la risposta ci viene fornita dai personaggi dei due bambini. Seppur entrambi siano motivo di apprensione per la Governess e Mrs.Grose, è Miles che mostra una particolare avversione per le regole che gli altri cercano di imporgli, come fa intuire anche la sua espulsione dalla scuola che frequentava. Quando durante una conversazione con la Governess il bambino dice: “They don’t much count, do they?“, riferendosi alla servitù di Bly, egli non sta solo ironicamente formulando un pensiero che rispecchia il rispetto che mostra nei confronti di queste persone (primo tra tutti Quint, con il quale il ragazzino aveva un rapporto particolarmente stretto), ma sta anche scuotendo in qualche modo il mondo a cui gli altri personaggi sembrano rimanere ancorati.

La sua affermazione assume il ruolo di vera e propria denuncia sociale, di fronte alla quale la Governess sembra rimanere spiazzata. Rifacendoci ancora una volta all’analisi presentata da Bruce Robbins dunque, Miles arriva a ricoprire in questo modo il ruolo di vero e proprio eroe nel contesto del racconto, poiché incarna i principi fondamentali di quei moti sociali che non trovano spazio nella realtà, ma che sono gli unici in grado di opporsi al Capitalismo per intenti sociali e morali. La sua denuncia mette in mostra come nel progresso dell’epoca in corso si sia perso il valore dei rapporti umani, del rispetto della dignità e della libertà altrui, che è stato soppiantato dalla legge del profitto e dello sfruttamento. James e il capitalismo: un altro giro di vite

L’allegoria di un bambino

Inoltre, il fatto che sia un bambino ad esprimere allegoricamente questi concetti ci ricorda della semplicità di tali principi, che rievocano gli ideali da cui sono scaturiti avvenimenti storici straordinari, dalla Rivoluzione Francese alla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, a cui James, tramite le parole del suo personaggio, potrebbe far riferimento. Se si considera il racconto da questo punto di vista però va ricordata una cosa, ovvero che Miles è “soltanto” un bambino, che , come i fantasmi, non può veramente cambiare il mondo, e che soprattutto è educato da una donna che perpetua i principi di una società a lui ostile.

Per questo motivo la sua verosimile morte alla fine del racconto rappresenta la morte delle ideologie rivoluzionarie, che lasciano spazio all’omologazione del Capitalismo, rappresentata dalla Governess che soffoca il bambino. È in questo momento che James si arrende, e lascia la storia in mano al lettore, poiché il suo mondo ha portato alla morte del sue eroe. A questo punto, se si prosegue sul percorso tracciato da questa interpretazione, risulta evidente come l’atto del soffocamento che la Governess compie si trasforma allegoricamente nella più vasta rappresentazione di un soffocamento degli ideali anticapitalisti che restano dormienti nella società moderna.

Il finale dunque ribadisce il principio della legge del più forte,

con una donna che strangola un bambino divenendo simbolo della società capitalista che strangola le classi sociali più deboli, che a causa della loro posizione nella scala sociale non possono aspirare a modificarne l’assetto. Inoltre, essendo la Governess responsabile dell’educazione di Miles, potremmo aggiungere che la donna, con questo suo gesto, commetta anche un tradimento nei confronti del ragazzino; proprio come alla base del capitalismo (e del sogno americano) vi erano promesse di ricchezza per chiunque la cercasse.

Anche il rapporto tra i due personaggi sembrava inizialmente caratterizzato da una particolare cura, e se vogliamo amore, che la donna dimostrava nei confronti del suo pupillo, ma che alla fine del racconto viene meno lasciando spazio all’accettazione dello Status Quo da parte della Governess, che si è ormai resa conto di quanto il suo mondo e quello di Miles siano distanti ed incompatibili. Questo comportamento, ed il rapporto che lega i bambini alla governante sono indicativi di una natura particolarmente contraddittoria e conflittuale che distingue questo personaggio dagli altri.

Un’ambigua consapevolezza

In effetti, per quanto i bambini possano assumere atteggiamenti ambigui, che lasciano presagire una consapevolezza riguardo tematiche sessuali e concetti che probabilmente non dovrebbero ancora aver acquisito alla loro età, per alcuni aspetti è la Governess il personaggio più ambiguo nel contesto di Bly. Va ricordato infatti che, nonostante l’affetto che la lega ai due bambini, inizialmente la governante accetta il lavoro poiché invaghita dello zio di Miles e Flora, e la sua crisi esistenziale e sociale inizia quando si rende conto di aspirare a ciò che Quint e Jessel avevano in qualche modo realizzato, capendo però di non possedere il coraggio necessario per sottrarsi al ruolo che le viene convenzionalmente assegnato.

È probabilmente con questo aspetto che si chiude il cerchio dell’analisi Marxista di The Turn of the Screw,

ovvero con l’omologazione ed accettazione rassegnata da parte della governante del sistema sociale a cui appartiene. L’omologazione a cui si è fatto riferimento prima ci riguarda tutti, e James sembra volerci ricordare come accettandola diveniamo tutti parte del sistema che ci controlla, e in un certo senso, ci sfrutta. Tramite la morte di Miles l’autore dichiara l’impossibilità di sottrarsi alle decisioni nel quotidiano, e afferma l’esistenza di una sorta di legge secondo cui se non si è palesemente oppositori di quel sistema, si è necessariamente parte di esso, proprio come la Governess, che nella sua incapacità di scegliere e di cambiare si trasforma in uno strumento del potere che “soffoca” Miles.

Si può affermare che da un’analisi di questo tipo emerga un’interpretazione dell’opera decisamente meno soprannaturale; del resto ogni opera d’arte è necessariamente ed indelebilmente figlia del contesto sociale all’interno del quale nasce. Sarebbe impensabile tentare di concepire l’arte al di fuori delle esperienze che l’artista si trova a vivere e che lo legano inevitabilmente ad altre persone. Il valore primario dell’arte è probabilmente quello di connettere in qualche modo le persone che attraverso di essa si rendono conto di come tutti siamo accomunati da una sorte che non possiamo fare a meno di condividere, determinata dal fatto che ognuno occupa un posto nel mondo in un determinato momento storico ed in un determinato spazio.

Di conseguenza anche un’opera come The Turn of the Screw non può fare a meno di rappresentare la società di cui è “figlia”,

ma è l’autore che poi decide quale connotazione conferire a tale rappresentazione. Infine va però ricordato che lo scopo principale dell’arte, e quindi della letteratura, è quello di sorprendere, di destare qualcosa nel lettore, di fornire una nuova chiave di lettura per la realtà, e non quello di presentare necessariamente soluzioni a problemi di carattere globale. È proprio in ciò che l’opera di James acquista un valore educativo, ovvero nella capacità di spingere il lettore a porsi delle domande.

Probabilmente non importa nemmeno se poi lo stesso lettore non sia in grado di giungere ad una conclusione, perché è solamente quando alla fine del racconto rimane null’altro che l’indifferenza che l’arte ha fallito realmente, ma nel caso di James, appare evidente ormai come egli sia stato in grado di dare più di “un giro di vite”.

 

Articolo di

Alessio Pariselli

 

Bibliografia:
_ James, Henry, The Turn of the Screw, ed. Peter G. Beidler, St. Martin’s Press;
_ La letteratura degli Stati Uniti d’America: dal Rinascimento ai nostri giorni, Cristina Iuli e Paola Loreto (a cura di), Carocci;

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