Privacy Policy Morire del reale, Intervista ad Alessandra Carnaroli - The Serendipity Periodical
Morire del reale, Intervista ad Alessandra Carnaroli

Morire del reale, Intervista ad Alessandra Carnaroli

Uccisa da un cortocircuito di elettrodomestici, con 99 variazioni sul tema

50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti, sono in tutto cento i modi per morire che Alessandra Carnaroli descrive nella sua ultima raccolta di poesia, pubblicata per Einaudi nel 2021. Carnaroli potrebbe dirsi una donna che vive nella postmodernità attraverso molteplici corpi, tanti quante sono le sfaccettature di una realtà scoppiata. Scoppiata anche lei, che non potrà che annientarsi «per imitazione», magari «con la testa dentro al forno» (50 tentati suicidi, n. 30), se è vero che la letteratura è uno specchio della società contemporanea. Il singolo componimento poetico diventa allora solo una delle tante soluzioni attraverso cui declinare lo stesso tema; la scrittura un gioco sadico che — come «il mazzo di chiavi auto casa furgone cancello» — può aprire «ogni osso con l’altro», creare «nuove giunture», «farti assumere pose impossibili» (50 oggetti contundenti, n. 29).

In Carnaroli la morte diventa un incidente privo di lirismo, casuale quanto desiderato e procurato — uno sforzo mentale a volte («coagulo di sangue altezza polpaccio / ora mi concentro / nello sforzo perché arrivi al cervello» 50 tentati suicidi, n. 22) — appiattito nella superficialità di un reale rappresentato con disincanto e modalità dissacranti.

Diluire il singolo nella collettività dello spettacolo

Non c’è spazio, dunque, per indagare la sofferenza del singolo, il quale è invece dissolto in una collettività alla ricerca dello spettacolo (così come il pubblico dei lettori), che controlla l’ultimo accesso WhatsApp del suicìda e pretende un rimborso se il suo corpo morto va a noia. Nella seconda sezione della raccolta di Carnaroli, l’assurdità del contemporaneo trova allora espressione — solo una fra quelle possibili — nell’uomo che elimina la compagna attraverso 50 oggetti diversi: una borraccia, una coppetta del gelato, una chitarra, una palla di vetro, una busta frigo… L’idea, come racconta la stessa Carnaroli, nasce da una notizia vera di femminicidio: un marito che uccide la moglie usando 50 diversi oggetti contundenti trovati in casa. Di qui la domanda: com’è possibile avere 50 suppellettili a portata di mano, cercare di trovarle tutte fra i propri scaffali.

tra le rotaie del regionale ancona piacenza
che dai moscioli porta alla nebbia
altezza pesaro
dietro istituto alberghiero
schiantarsi contro verdurine
al vapore
fischi di ragazzi ai culi
ritardi
probabili aborti

(50 tentati suicidi, n. 9)

*

il barattolo
dei pelati appoggiato sul piano
da lavoro della cucina
ancora chiuso
che nessuno
ha voglia di mangiare
si sa nella carneficina

(50 oggetti contundenti, n. 19)

La tua poesia, con il suo black humor, sembra non volersi prendere troppo sul serio e, nonostante la denuncia sociale, scende dal piedistallo, si guarda bene dall’essere prescrittiva e dal lanciare un messaggio universale. Sono qualità che mancano in molti autori di oggi. Dovremmo forse rivedere le priorità della letteratura?

Sono nata e cresciuta nella campagna marchigiana degli anni ’80 dove l’emozione più potente, dopo chernobyl e l’attesa della nube tossica, era l’eccitazione per il “gabaret” di paste che nonno portava la domenica a pranzo, con la sua fiat 127 e la giacca appoggiata sul sedile di pelle: quali consigli potrei dare al mondo se non quelli per gli acquisti? Un microcosmo popolato da conigli e quaglie, fatto di oggetti concretissimi tipo coltelli, grembiuli, falci, petti di pollo per divinare il sesso del nascituro in una gravidanza, rovesciate di oliver hutton, catapulte infernali, croccante all’amarena, poster dei duran duran nell’anta dell’armadio, scarpe chicco, la signora in giallo quando tornavi da scuola e scaldavi la pasta in quei pentolini tutti d’acciaio dove bruciavano piselli e boccolotti e si ponevano ottime basi per il tumore gastrico.

Un serbatoio ricchissimo di immagini.

Ma anche suoni, lucette tipo flipper che creano agganci, costruiscono ponti col presente, appunti per narrazioni intermittenti. Ciò che mi interessa è proprio questa possibilità di raccontare quello che qui e ora succede, quando si attraversa l’esistenza tipo corsia di iperdiverso: i prezzi fosforescenti, l’odore di ammorbidente, il brano a palla di tiziano ferro, la bimba che piange nel carrello tra un pacco di gocciole e il lysoform per i pavimenti. Il sottofondo di un quotidiano fatto di cose che accadono e cadono dai ripiani, barattoli, bicchieri, zoccoli, corpi, piedi.

La mia è un’attrazione per oggetti e carne, il modo in cui si interfacciano e mescolano, una sorta di design dell’umano, come siamo fatti, come gli altri ci toccano, come tocchiamo, usiamo, urliamo, uccidiamo.

Soprattutto nella prima sezione, 50 tentati suicidi, c’è la sofferenza di una donna che mai trova modo di esprimersi, ma viene soffocata nello squallore della società contemporanea, incontrando una morte disumana, o troppo umana forse, fra marche di detersivi, attentati terroristici, sacchetti in rete per la frutta. In questo “trionfo del nulla”, e nel grottesco, rivive forse un po’ della Gioventù cannibale degli anni Novanta?

Gli anni novanta corrispondono alla mia adolescenza e Aldo Nove è stato una folgorazione, letture nascoste sulle ginocchia, sotto il banco: il racconto come presente che si scuce, come tasca dove riporre il coltello e un contesto violentissimo, il tutto e il niente nel portasaponetta di una doccia, il quotidiano come jingle e televendita e ring di wrestling. Un umano che mette in scena il suo dramma dentro un ipermercato, in ufficio, alla fermata della metro usando quello che gli capita per mano: il mestolo, il giornale, il pacco di pasta, il filo di un assorbente interno come miccia.

preparo il giorno
del mio trapasso stendo
la pasta sfoglia passo
passo
come dice benedetta
detto cotto
le presine da forno
sentiranno
la mancanza quando
cadrò
di sotto

(50 tentati suicidi, n. 1)

*

la chitarra
puoi suonare con i denti come hendrix
una corda ti passa tipo filo interdentale tra le ossa
non ho mai capito quale è la mascella quale la mandibola
in questa nuova geografia del tuo corpo comunque
      la domanda
non ha senso

(Alessandra, Carnaroli – 50 oggetti contundenti, n. 9)

Sui tuoi social, ironicamente, ti sei definita «bestselleristə». Ci sono casi di donne, come Natalia Ginzburg o Elsa Morante, che preferivano il titolo di «scrittore» a «scrittrice», sostenendo che la letteratura va oltre il sesso. Ma anche oggi c’è chi desidera essere chiamata «poeta» e non «poetessa». Quanto è importante, per te, l’essere donna nella tua scrittura?

Mi definisco poetessa, maestra, volontaria perché la mia identità di genere corrisponde al mio sesso biologico e perché sono convinta che declinare le professioni al femminile sia una opportunità di ispirazione e di empowerment per bambine e ragazze. Così come credo che la schwa sia strumento di inclusione e rappresentazione per le molteplici possibilità di essere umanə. 

Per il resto posso aggiungere che accetto la definizione  di scrittura femminile solo se viene utilizzata quella di scrittura maschile per gli autori che hanno il pene, sono contenti di averlo e lo usano nei vari modi che conoscono.  Altrimenti è discriminante: se esiste una scrittura femminile influenzata dal fatto di avere tette, fica e mestruazioni, di partorire e allattare, di aver incarnato determinati ruoli e di essere state vittime di altrettanti stereotipi nel corso del secoli, dovremmo poter utilizzare gli stessi criteri per gli autori con l’uccello e il testosterone a palla. Invece il ghetto funziona per le donne da sempre, come con tutte le minoranze: è un altro modo per mutilarle. Parlare di scrittura femminile è uno dei tanti privilegi dei maschi.

Non siamo maree né piante di fava che crescono con la luna nuova.

L’attualità è senza dubbio una delle fonti cui attingi maggiormente. Molto hai scritto, negli ultimi mesi, anche sulla guerra in Ucraina. In questo frangente torna l’assurdità del reale, la violenza della morte, figure di madri disintegrate. E non mancano le tue illustrazioni a trasmettere questa concezione poetica.

Quello che mi accade intorno risuona come campanella a scuola, come voce familiare tra i baracchini del mare, come quei recinti che i bambini battono con la canna: scrivere diventa insieme un modo per raccontare il presente, quanto di reale ci accade e insieme un modo per prenderne le distanze, sopportarlo. È il mio esercizio (il mio esorcismo) quotidiano di essere umano che incrocia altre forme di vita e prova qualcosa che si avvicina alla condivisione della passione. L’Ucraina è vicina e la bambina biondissima che d’estate veniva in spiaggia dopo l’esplosione della centrale nucleare per prendere il sole non ammalarsi di tumore evitare di partorire un mezzo muflone chissà se è viva se è finita anche lei in una fossa comune tanto si chiamano quasi tutte Irina. 

I disegnini sono un’altra forma di scrittura, uso infatti solo penna nera e penna rossa: un tentativo di togliere, arrivare  all’osso, a piccoli segmenti che si incontrano sempre, sbattono, sfondano. 

Sul tuo canale YouTube è possibile ascoltare alcuni componimenti da te recitati. Si tratta di abbandonare i panni del lettore per assumere il punto di vista della voce narrante, farsi travolgere dal ritmo così com’è stato pensato, ritrovando la voce robotica di una realtà fatta a pezzi. Dovremmo forse tornare ai vinili anche per le poesie.

Quella della voce comune è una mia ossessione, sono convinta che esista questo suono, aria che muove le corde, inclinazione della lingua, forma che prende la bocca per creare una narrazione che ci tocca un po’ tuttə, raccontare il mondo attraverso parti del corpo, oggetti rumori, luci. E questa voce, questo quasi verso di bestia trova la sua espressione nella poesia che si dice, che si canta e si sposta. Meglio del vinile è il palco, stare davanti all’infinito dell’essere presenti a se stessi e agli altri.

nel rubinetto
vorrei affogare il naso
fare bolle da ognuna narice
pesciolina d’acqua dolce
uccisa dal calcare

(50 tentati suicidi, n. 6)

*

il cane
non si è accorto di niente
cosa lo hai comprato a fare
un cane da difesa se
non è capace di buttare giù la porta venirti a salvare
buono solo
a mangiare fazzoletti dalle tasche e mutande sporche
ci aveva visto giusto mia madre
lo avevi scelto per farla sbranare
il giorno che eravamo in vacanza
e lei doveva portargli da mangiare

(Alessandra Carnaroli – 50 oggetti contundenti, n. 48)

Alessandra Carnaroli

Alessandra Carnaroli (1979) ha pubblicato: una silloge in 1° non singolo (sette poeti italiani) con una nota di A. Nove (Oèdipus, 2006), Taglio intimo (Fara editore, 2001), Femminimondo, con una nota di T. Ottonieri (Polimata, 2011), Elsamatta, collana «Syn. Scritture di ricerca» diretta da Marco Giovenale (ikonaLíber, 2015), Primine, con una nota di A. Cortellessa (edizioni del verri, 2017), Ex-voto, collana «croma K» diretta da I. Schiavone (Oèdipus, 2017), Sespersa, con una nota di H. Janeczek (Vydia editore, 2018), In caso di smarrimento / riportare a, con prefazione di Silvia De March (Il Canneto editore, 2019), Poesie con Katana (Miraggi Edizioni 2019). 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti (Einaudi, 2021) è la sua pubblicazione più recente.

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