Privacy Policy Gabriele D’Annunzio, il Parlaggio e l'eredità teatrale - The Serendipity Periodical
Parlaggio-D'annunzio

Gabriele D’Annunzio, il Parlaggio e l’eredità teatrale

La storia del Vittoriale a 90 anni di distanza

Questo 4 Luglio è stato inaugurato il Parlaggio, cioè il monumentale anfiteatro voluto da Gabriele D’Annunzio nel suo formidabile Vittoriale degli Italiani. Grazie agli interventi della regione Lombardia è stato possibile ultimare il teatro conformemente ai voleri del poeta-vate e rispettare il progetto degli anni ’30. D’annunzio, figura di spicco tra gli interventisti della prima guerra mondiale, si ritirò a Gardone Riviera, affacciato sul lago di Garda, dopo la fine del conflitto bellico. Proprio qui, nel 1921, decise di acquistare la villa dello storico d’arte tedesco Henry Thode. Le intenzioni iniziali del poeta, erano quelle di rimanere a Gardone Riviera solamente poche settimane, il tempo necessario per poter concludere il suo ultimo romanzo: “Il Notturno”. In realtà vi abitò fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1938.

Il progetto

Il rifacimento dell’ambiente fu affidato all’architetto Giancarlo Maroni e il complesso monumentale è costituito da: la villa, il teatro all’aperto, corsi d’acqua, il mausoleo e una nave militare. Il tutto verrà chiamato “Vittoriale degli italiani”. Oggi è stato finalmente concluso così come D’Annunzio lo aveva progettato: interamente coperto di marmo rosso di Verona. Il tutto è stato inaugurato con una solenne cerimonia, alla presenza di numerose autorità tra cui il Presidente della regione Lombardia Giancarlo Fontana. Questo intervento è stato voluto dal presidente della fondazione Il Vittoriale degli italiani, ed è stato presentato al pubblico il 4 luglio 2020. L’obiettivo è quello di offrire al pubblico spettacoli e concerti all’aperto in un ambiente intriso di un’atmosfera fantastica. 

Gabriele D’Annunzio e la sua rivoluzione teatrale

A partire dagli ultimi anni dell’ottocento, l’innovazione di D’Annunzio ha avuto un ruolo fondamentale. Il suo interesse per il teatro, così come quello per il cinema  e per il giornalismo, hanno fatto di lui un personaggio poliedrico, simbolo del Decadentismo italiano. Il motivo del suo avvicinamento al mondo del teatro è dovuto a vari fattori tra cui: la relazione con l’attrice Eleonora D’Use, la conoscenza di Nietzsche e in particolare della  nascita della tragedia, e di Wagner. L’obiettivo del poeta vate era quello di creare un teatro tragico che, insieme alla potenza della parola, della musica e della danza, ponesse il superuomo in un rapporto supremo con la folla. Egli voleva creare uno spettacolo indelebile, capace di fissarsi per sempre negli sguardi degli spettatori. Nasce così, una grande quantità di testi teatrali, privi di una vera e propria tensione drammatica, invasi dall’onda della parola e dalla sua più esteriore vocalità.

La città morta

Il lavoro più riuscito e più carico di teatralità è sicuramente la prima tragedia, ideata durante un viaggio in Grecia, intitolata “La città morta”.Inizialmente l’opera era destinata a Eleonora Duse, ritenuta la più grande attrice teatrale della Belle Époque, ma poi, in seguito ad una serie di contrasti con l’attrice-amante, fu rappresentata per la prima volta a Parigi e in lingua francese dalla celebre attrice Sarah Bernhardt, il 16 giugno 1898.  L’opera è costituita da cinque atti in prosa, ambientati in Grecia, ma in età moderna, presso le rovine di Micene. Il suo scopo è proprio quello di proiettare in un ambiente borghese immagini del mito e della tragedia greca, deformando così gli schemi tipici del dramma borghese. Alcuni motivi originari della tragedia greca vengono spostati e ricombinati, in maniera tale da creare un’inquietante atmosfera di attesa. Sulla scena pesa una forza misteriosa che costringe i personaggi moderni a ripetere i tragici gesti degli eroi antichi.

Il teatro “poetico”

Nelle opere seguenti, il neo-drammaturgo tenta un teatro di ambientazione borghese, ma il più grande successo teatrale dannunziano viene da un formidabile adattamento tra la forma di teatro “poetico” al mondo pastorale abruzzese, intitolato “La figlia di Iorio” e rappresentato a Milano il 2 marzo 1904. la tragedia divisa in tre atti, mette in scena un Abruzzo favoloso e ancestrale, dominato da: sensualità, ritualità, superstizione e da una violenza selvaggia. 

La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua.

 

Articolo di

Isabella Amicuzi

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