Privacy Policy Traduzione inedita- "En Chimà nace un santo" di Manuel Zapata Olivella - The Serendipity Periodical

Traduzione inedita- “En Chimà nace un santo” di Manuel Zapata Olivella

Traduzione inedita -“En Chimà nace un santo” di Manuel Zapata Olivella

Manuel Zapata Olivella è una delle voci più interessanti all’interno del panorama letterario colombiano contemporaneo. Sfortunatamente l’autore però non è tradotto in italiano, per questo di seguito proponiamo la traduzione di una delle sue opere più rappresentative “Nasce un santo a Chimà” che, per quanto ne sappiamo, è l’unica esistente nella nostra lingua.

Il romanzo affronta il tema della superstizione

della religione, delle dinamiche che avvengono in un gruppo di individui, generate da paura, ammirazione e potere. La povertà e l’ignoranza, che all’epoca di Zapata Olivella imperversavano nelle campagne e nei piccoli borghi dell’entroterra colombiano, vengono messe al microscopico e l’autore immagina fino a che punto questi fattori sociali possano portare le persone. Da questo punto di partenza Olivella arriva a conclusioni orripilanti, grottesche ma non per questo impossibili. Il cadavere bruciacchiato che causa la “nascita” del santo nel paesino di Chimà diventa un feticcio, oggetto di studio, superstizione e reverenza da parte dei poveri e disperati contadini del luogo. Quello che ci viene descritto è un mondo in cui il tempo si muove in maniera ciclica, scandito dalle stagioni e dalle festività sacre. L’universo di Chimà sembra sospeso nel tempo e nello spazio quasi come si trovasse in una bolla. Questo elemento per alcuni versi accomuna la sua scrittura a quella degli autori del Boom Sudamericano. A differenza di Marquéz però lo stile è molto più scarno e diretto, le descrizioni meno articolate e scevre di quel tocco magico che negli anni‘60 rese famosa la letteratura sudamericana in tutto il mondo.

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Manuel Zapata Olivella

Manuel Zapata Olivella

nasce a Santa Cruz de Lorica (Colombia) nel 1920. La sua vita si configura come un susseguirsi di viaggi, avventure ed esperienze. Tra il 1943 e il 1947 percorse a piedi gran parte dell’America Latina e degli Stati Uniti mantenendosi con i lavori più disparati. Successivamente Zapata Olivella si dedicò al giornalismo collaborando con numerose testate in tutta l’America Latina. In fine fu anche medico ed esercitò la professione a Bogotà. Durante la sua vita così piena pubblicò diversi racconti e romanzi tra cui  “He visto la noche”(1946), “Chambacú, corral de negros”(1963), “Changó, el gran putas” (1983) e molti altri.

Nella seguente traduzione si è scelto di adottare un approccio straniante ovvero di rimanere quanto più in aderenza con lo stile dell’autore a costo di sacrificare la scorrevolezza del testo. Per mantenere il sapore e l’atmosfera del testo si è scelto ad esempio di mantenere gli stessi tempi verbali del testo originale. Infatti il brano, che è poi l’inizio del romanzo, è narrato interamente al presente anche quando sarebbe più adeguato utilizzare l’imperfetto. Questa è una cifra stilistica dell’autore che è sembrato necessario conservare.

Nasce un santo a Chimà

Le candele accese splendono contro il bianco della calce ancora umida delle sepolture. Le rose di carta, nere e viola, si appiccicano alle croci di legno come enormi calabroni. Il pellegrinaggio dei contadini fa traboccare il piccolo cimitero: un fazzoletto di terra alto nel mezzo della pianura paludosa.

Ai lutti del villaggio si sommano coloro che sono venuti a piedi alcune notti prima attraverso pantani e montagne. Osservano religiosamente la visita annuale ai loro morti. Piantano le ginocchia nel fango, si fanno il segno della croce e gli raccontano gli avvenimenti dell’anno come se li ascoltassero.

Si, li ascoltano. All’interno delle nicchie si lamentano con voce nasale. I bambini, attaccati ai genitori, osservano timorosi le crepe delle tombe dove sperano spuntino le mani ossute in cerca delle focacce di mais e delle carisecas che gli portano. Oggi, giorno dei defunti, i morti ripuliscono le proprie ossa, si agghindano con i sudari e con la stessa civetteria delle ragazze campagnole, si adornano la testa pelata con gialle campanule di Cabalonga e fiori di Valeriana, raccolti a mezzanotte nei campi. Accovacciati, incrociate le tibie sottili come cannucce e con le orbite vuote, i defunti ricevono i cari in lutto con un sorriso flebile.

-Papa Antonio, porto qui Justinico; è nato da appena quattro giorni e dicono che sia il vostro[1] ritratto, tanto vi somiglia.

-Non ti abbiamo portato nessuna corona di fiori di carta perché l’inondazione ha sommerso il mais e ci ha lasciato in rovina. Ci perdoni.

Nella tomba isolata dell’angolo, bordata da paletti e filo spinato, tra le candele votive, Eduviges parla al suo amato:

-Lo sai che in vita ti ho sempre obbedito. Però mi hai lasciata sola e Anselmo mi ha detto che posso ancora crescere tanti figli. Non prendertela a male; sai che pregherò per te anche quando mi sarò impegnata con un altro.

E quest’altro, Anselmo, affonda le ginocchia nella terra compatta sperando nella generosità del morto.

Le famiglie allargate[2] raccontano, mangiano, e ridono in compagnia dei defunti trasformando il cimitero in un alveare di api chiassose.

Rafaela Vidal ricorda l’immagine votiva dell’Anima Sola [3], lamentosa, allucinata. La chioma canuta spolvera di cenere la tunica nera della sua vedovanza. La accompagnano, come sempre, le sue due figlie: Balaude e Andrea, dai grembi invecchiati vergini. La madre informa Baltasar Villadiego, suo marito morto da un quarto di secolo:

-E il nostro Dominguito, ha fatto già trentatre anni senza essere cresciuto più di un metro. È sempre più incurvato. Il povero, come ti ho detto, muove soltanto due dita della mano destra. Ogni giorno è sempre più affaticato perché le ossa e la carne si fanno pietra. Le tue figlie, che vedi qui, hanno giurato davanti a San Emigdio di non sposarsi per accudirlo. Prega lì nel Cielo perché Dio ne abbia pietà, perché i medici dicono che non c’è cura e i guaritori che è stregato.

Padre Berrocal è arrivato quest’anno per cantare “L’eterno riposo”[4] . Vuole finirla con gli eccessi del sacrestano Jeremias che lo sostituisce recitando in un Latinorum che non capisce nemmeno lui. È un buon prete, amato da tutti, impartisce benedizioni e si accontenta delle offerte che gli danno spontaneamente. La maggior parte di queste non rimangono nel paesino. “A Dio si offrono e Dio le distribuisce”, dice lui. Si vocifera che l’Arcivescovo di Cartagena lo rimproveri per non imporre ai suoi parrocchiani il pagamento delle decime, però questi rimproveri, se è vero che li riceve, non riducono la sua carità.

Appena finisce di pregare davanti a una nicchia, i familiari dei defunti lo tirano dalla sottana per portarlo a un’altra tomba. L’acquazzone del giorno dei defunti, sicuro come la morte, già congestiona le nuvole al di sopra delle croci. Non li spaventa tanto la tormenta, quanto la notte che minaccia di sorprenderli dentro il cimitero con i propri morti e le candele accese.

-Padre, recita tre Ave Maria a mia sorella. Queste notti la sua anima è tornata a vagare nella stanzetta dove è morta.[5]

-La aiuteremo a non soffrire più, figlia mia.

All’improvviso un fulmine acceca la luce delle candele e le croci tremarono all’impatto del tuono. Per un istante si ascolta il silenzio misterioso dei cimiteri nelle notti di luna piena. In lontananza un cane abbaia spaventato. Aumenta la somma delle voci che si fanno il segno della croce[6].

-Presto, padre, ci prende l’acqua! –  sussurra il sacrestano.

I primi goccioloni stingono le corone di fiori di carta[7]. L’ombrello che ha preparato l’accolito si apre e cercano di ripararsi sotto la sua protezione i cari dei defunti. Un grido piomba disperato:

-Al fuoco, al fuoco!

Le fiamme e il fumo mulinano sopra le case fatte di palme, i parenti dimenticano i propri morti e tornano alla vita per il cammino inverso della superstizione.

-Beata vergine Maria![8]

-San Emigdio, proteggici tu!

Qualcuno suona le campane della chiesa, mentre i macheti tagliano le parti dei tetti vicine alla capanna incendiata. Uomini e donne dai tetti allontanano[9] con le scope le braci.

-Domingo Vidal va a fuoco!

Raffaella e le sue figlie, intorno alla capanna, chiamano ansiose dai buchi delle finestre ma risponde solo il fuoco trepidante.

-Mio figlio! salvate il mio povero figlio paralitico!

-Il mio fratellino va a fuoco, Dio mio!

La sua spaventosa morte di menomato si indovina dall’odore acre di cuoio bruciato. Quattro uomini non riescono a reggere Balaude che si rotola nel fango e strepita perché la lascino tirare fuori suo fratello dalle fiamme. In un angolo, tremando di paura, Andrea prega piagnucolando come un cane bastonato. La voce strozzata della madre è un grido prorompente:

-San Emigdio, non permettere che mio figlio cuocia!

Ansiosamente i vicini portano acqua alla capanna ma le fiamme sembrano bruciarla al solo contatto.

-È ancora vivo!

-Lì dentro, grida!

Il parroco getta il copricapo, raccoglie le vesti in un nodo sopra la cintola e salta tra i tizzoni ardenti.

-Esca di lì padre, brucerà anche lei!

Le vesti prendono fuoco e cadono sopra le sue spalle le palme crepitanti. Nel bel mezzo del fumo e del fuoco si orienta grazie alle grida di Domingo. Il fumo lo soffoca e i pantaloni che bruciano gli scottano la pelle. Fuori, oltre il muro di fiamme che lo circondano, gridano disperatamente:

-Salvali Dio onnipotente!

La pioggia, fino a quel momento fina, cade ora copiosamente. La staccionata è fumante e il tetto incendiato crolla. Una nuvola soffocante oscura il villaggio e tra lo stupore di tutti, avvolto dalle fiamme, il sacerdote esce dalle macerie con Domingo tra le braccia. Gli lanciano secchiate d’acqua e gli staccano pezzi della tunica in fiamme. Sorprendentemente a Domingo il fuoco non ha sfiorato i vestiti.

-Miracolo!

-Miracolo!

Impazziti vogliono tutti toccargli i capelli e strappano la camicia che il fuoco non aveva incendiato. Il sacerdote li respinge a gomitate impedendo che raschino con le unghie la dura pelle di Domingo ancora calda.

-Dio mio, sono impazziti! Lasciatelo! Lo ammazzeranno.

Jeremia riesce a  scacciarli a calci fino a rifugiarsi nella chiesa. Sfinito, dopo aver chiuso e barricato la porta, Padre Barrocal esclama:

-Santa Vergine, sono impazziti!

Non voglio credere che quelli che pochi momenti fa mendicavano in ginocchio per la sua benedizione siano gli stessi che gridano infervorati:

-Vogliamo vedere Domingo santificato!

-Ci lasci vedere il miracolo!

Incredulo osserva meravigliato i vestiti di Domingo. Cerca le bruciature ma neanche i capelli si sono anneriti. Dietro di lui, senza osare toccarlo, Jeremia ascolta il parroco:

-Devi lasciarlo stare qui finché questi idioti non recuperino la ragione. Le povere Vidal sono rimaste senza capanna.

Il sacrestano annuiva, infreddolito e tremante. Dall’orlo dei pantaloni gocciola l’acqua e allaga il pavimento di terra battuta della chiesa come se avesse orinato.

Fuori nell’atrio, battono sulla porta e gridano superstiziosi:

-Dio ha indicato Dominguito con un fulmine!

[1] In Sudamerica utilizzare la terza persona per riferirsi a qualcuno non è, come in Europa, una forma di cortesia al contrario denota familiarità e maggiore confidenza con l’interlocutore.

[2][2] Grupos familiares è più o meno quello che da noi si definisce famiglia allargata.

[3] Immagine votiva della tradizione cattolica radicata soprattutto in America Latina che rappresenta le anime del purgatorio, consiste nell’immagine di una donna tra le fiamme con i polsi incatenati e le braccia rivolte al cielo in preghiera.

[4] In realtà responsos indica una preghiera per i morti, non esiste traduzione precisa, l’equivalente nell’immaginario italiano di retaggio cattolico è all’incirca l’eterno riposo.

[5] Cambio tempo verbale per renderlo più informale passo dal passato remoto, altamente formale in italiano a un passato prossimo. In spagnolo non è possibile utilizzare il passato prossimo poiché si parla di un evento concluso e richiede assolutamente il passato remoto. In italiano invece l’utilizzo di questo tempo verbale denoterebbe un formalismo eccessivo se si considera che chi parla è un contadino Colombiano.

[6] Persignarse in spagnolo è una sola parola in italiano non esiste.

[7] Per loro è sottointeso, ho deciso di esplicitare aggiungendo che sono corone di fiori.

[8]  I santi invocati sono molto più specifici ma in italiano non sono traducibili se non con forme molto innaturali.

[9] Ho utilizzato lo stesso tempo verbale del testo in spagnolo perché sebbene in spagnolo esista l’imperfetto l’autore fa la precisa scelta di non utilizzarlo e questa è una cifra stilistica che non dovrebbe essere soppressa.

 

Articolo di

Simona Ciavolella

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