Privacy Policy Joseph Conrad, l’uomo e la tempesta - The Serendipity Periodical
Joseph Conrad, l'uomo e la tempesta

Joseph Conrad, l’uomo e la tempesta

Acuto conoscitore dell’animo umano, Conrad ha saputo esprimere nei suoi romanzi le meraviglie e i terrori della vita che scelse di vivere: quella degli uomini di mare. Nel “Tifone”, una delle sue prime opere, possiamo già vedere dispiegarsi la sua eccezionale potenza narrativa e la profondità della sua indagine psicologica

Articolo a cura di L’Ibis Scarlatto

Joseph Conrad nasce il 3 Dicembre 1857 a Berdichev, nella Podolia, una regione dell’Ucraina precedentemente appartenuta alla Polonia. Dopo la morte di entrambi i genitori, avvenuta quando aveva solo dieci anni, fu affidato ad uno zio materno con il quale rimase fino al 1874, anno in cui si arruolò nella marina francese coronando il suo sogno di navigare per i mari. In seguito, acquistò insieme ad altri tre giovani un mercantile con il quale si dedicò al contrabbando, vivendo diverse avventure, fino a quando non fu costretto a farlo deliberatamente naufragare. Solo nel 1878 entrò a far parte della marina inglese e, nello stesso anno, giunse a Londra. Fece una brillante carriera fino a raggiungere il grado di capitano di lungo corso ma, nel 1890, decise di trasferirsi nel Congo belga, dove prese il comando di un piroscafo addetto alla navigazione fluviale. In questo anno inizia la sua attività letteraria, pubblicando nel 1895 il suo primo romanzo: La follia di Almayer. L’anno successivo si sposò e si trasferì definitivamente in Inghilterra, abbandonando la vita di mare e dedicandosi sempre più intensamente all’attività letteraria. Si spense il 3 agosto 1924, a Bishopsbourne, nel Kent.

La vita e la letteratura per Conrad si intrecciano continuamente

dalla esperienza in Congo nasce il suo libro più famoso, Cuore di Tenebra, e in tutte le sue storie spesso ci si imbatte in un fatto realmente accaduto. Tuttavia, diversamente da tanti autori che producono libri d’avventura, Conrad è capace di inghiottire il lettore tramite la descrizione e la fabulazione senza mai rinunciare ad una riflessione esistenziale. Così, la descrizione di una tempesta in cui si imbatte una nave mercantile in mezzo alle correnti dell’oceano, che può rappresentare la quotidianità per un marinaio, si carica di emotività e di allegorie. Tramite la descrizione della forza della tempesta, Conrad svela le identità celate dei personaggi, rivela la loro vera essenza nel momento in cui si trovano a lottare per la sopravvivenza.

E allora ecco nella notte della tempesta

il nostromo, con le braccia più lunghe del corpo, che nel buio pare essersi mutato in uno scimmione, strisciare sul ponte tra gli schizzi delle onde che si infrangono sui fianchi della nave; o il capitano, screditato tra la ciurma, caratterizzato da un’ottusa intelligenza per volere a tutti costi perseguire le regole da lui stabilite, condotto dal bisogno di una cieca disciplina e obbedienza e apparentemente incapace di adattarsi alle situazioni in cui si imbatte, si rivela l’unica speranza di salvezza su una nave in preda alla paura e agli istinti più animaleschi.

La storia di cui sto parlando è quella narrata nel Tifone,

un’opera dove può essere messo più facilmente in risalto il modo in cui Conrad inserisce nel genere d’avventura una più profonda e travagliata visione dell’umanità. Quest’opera fu una delle prime scritte dall’autore, e questi è ancora lontano dalla maturità che raggiungerà in Cuore di Tenebra. Tuttavia, già da questo iniziale romanzo breve si può intravedere ciò che verrà sviluppato con maggior problematicità nelle opere successive. Il Tifone fu pubblicato per la prima volta nel 1902. In sole cento pagine, Conrad racconta la sventura di una nave mercantile, la Nan-Shan, capitanata dal comandante Macwhirr, che mentre navigava da Sud verso il porto di Fu-chau, in Cina, con a bordo duecento coolies cinesi, fu colpita da un tremendo tifone. Il tifone viene descritto come una forza implacabile che si scaglia contro gli uomini rendendo loro impossibile ogni via di fuga; l’unica cosa che essi possono fare è tenere i motori della nave costantemente accesi e sperare.

Joseph Conrad, l'uomo e la tempesta
Joseph Conrad

Inizialmente, il viaggio della Nan-Shan appare tranquillo,

ma l’onda grossa e l’assenza di vento non sono un buon segno. È la discesa del barometro a confermare l’arrivo di una tempesta, ma nessuno sa da dove o quando giungerà, o quale sia la sua potenza. Ciò nonostante, il capitano, «incapace di riconoscere una profezia fino a quando il suo avverarsi non lo mette di fronte agli effetti», decide di continuare dritto per la sua rotta piuttosto che tardare l’arrivo al porto ed evitare la tempesta. In un continuo crescendo di tensione, la nave inizia a rollare sempre più violentemente e il mare ad ingrossarsi e a schiantarsi sui fianchi del mercantile. Ma il vento non è ancora arrivato. Ormai tutta la ciurma ha capito che a breve si troveranno in mezzo ad una tempesta di una violenza che va oltre l’immaginazione, e solo il capitano, inquieto ma apparentemente scettico, si sforza a credere che sia un “mal tempo” come gli altri, e giudica con disprezzo la preoccupazione e il panico che iniziano a dilagare lentamente sulla sua nave.

Il vento giunge improvvisamente.

È in questo momento che inizia la descrizione angosciante ed eccitante della potenza con cui il tifone si schianta sulla nave, preceduta da una potente folgore che, nel buio tenebroso della notte, con uno squarcio di luce mostra in un istante la spaventosa immagine del mare in burrasca, con le creste delle onde tagliate dalle raffiche di vento, le sagome degli uomini disperati che tentano come possono di assicurare la nave e le nubi minacciose che la circondano. Poi, tutto viene nuovamente avvolto nelle tenebre, e un’onda di enorme dimensioni, della quale si sente solo un rumore assordante che si avvicina, colpisce il ponte e l’equipaggio, isolando ogni uomo nella sua lotta solitaria per la sopravvivenza.

Con grande maestria,

Conrad descrive gli effetti fisici e psicologici causati dalla tempesta sugli uomini: alcuni si rifugiano in un corridoio, immobilizzati dalla paura, incapaci di compiere qualsiasi azione per mettere in salvo la nave e loro stessi; altri, come il primo ufficiale, sperano di raggiungere il prima possibile la pace, fosse anche quella della morte, o pensano soltanto alla salvezza per loro stessi, giungendo quasi a disprezzare la vita altrui; altri ancora, come i coolies cinesi, nonostante la bufera, si picchiano a sangue tra loro per cercare di recuperare i dollari che portano con sé, custoditi gelosamente dentro delle case andate in frantumi, guadagnati dopo anni di lavoro in vari paesi tropicali.

Il capitano, invece, sembra essere l’unica speranza di salvezza

È apparentemente calmo, tenta di rassicurare il primo ufficiale ed è l’unico a preoccuparsi per il resto della ciurma. Ma le sue azioni caritatevoli, come quella di recuperare i soldi e calmare i coolies, la cui sopravvivenza a nessun altro dell’equipaggio interessa – tanto meno tentare di salvare loro la vita mettendo a repentaglio la propria – non sembrano essere guidate da sentimenti compassionevoli, piuttosto da un ottuso senso etico e di osservazione delle regole: il capitano non può permettere che nella sua nave gli uomini combattano tra loro. Inoltre, il bisogno di salvarli, stranamente, sembra muovere da un sentimento di disprezzo nei loro confronti. Infatti, è disgustato dall’idea di poter morire e affondare con la propria nave mentre dei cinesi si mordono, si graffiano e si prendono a pugni per qualche dollaro.
Joseph Conrad, l'uomo e la tempesta

Dopo la sensazionale descrizione della forza della tempesta

e dopo aver seguito le avventure dei due personaggi principali – il capitano e il primo ufficiale –, il vento cala improvvisamente. Ma non sono salvi: si trovano nell’occhio del ciclone. Ciò che avverrà sarà ancora peggiore di ciò che è stato. E la calma e l’attesa sono più angoscianti della tempesta: tutti sanno che il peggio deve ancora venire, ma nessuno sa quando. Con un brusco salto, Conrad non descrive la seconda ondata della tempesta e arriva rapidamente alla conclusione.

La nave torna salva in porto, anche se malridotta, e i membri della ciurma scrivono a casa della loro terrificante avventura. Tuttavia, nessuno, tranne il primo ufficiale, descrive la forza e la potenza del tifone e quello che hanno dovuto sopportare. Essi si limitano a descriverla con termini marinareschi che risultano incomprensibili, e anche noiosi, ai parenti che la leggono a casa. Le azioni eccezionali condotte dal capitano per salvare la nave, il rapporto più intimo e sincero che si instaura tra lui e il primo ufficiale, che insieme lottano per la vita, l’uno aggrappato all’altro, non vengono descritte ai parenti. Passa la tempesta, e con essa le azioni e le parole bisbigliate tra le minacce della notte vengono sommerse e dimenticate come le conversazioni tra ubriachi.

Articolo di

Giacomo Vaccarella

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